sabato 27 dicembre 2014

Dite ad Apollonio che la verità è noiosa

Basta, Apollonio!
Basta con questa faccia, quest'espressione con cui tu sembra voglia vendere ogni giorno la felicità che non hai!
La tua ironia non è la benvenuta qui. Anzi, è odiata. Abusata. Rinnegata da chi anche solo una volta ha fatto la cazzata di dire che potevi far ridere, maledetto lui! E quello che non t'ha scritto che sei un povero fallito, è uno che ha sprecato la sua possibilità d'essere utile al mondo.
Sei simpatico come una pietra nella scarpa che potrai togliere solo una volta arrivato a destinazione.

Apollonio non ce ne frega un cazzo dei tuoi nipoti. Hanno l'età, gli spazi tra i denti, la fedina penale e l'innocente stupidità di milioni di bambini. Hanno solo la sfiga di partecipare alla tua esistenza, quindi poverini non sono nati neanche ricchi. Non gliela far ricordare questa infanzia. Cancella foto e post. Regalagli l'anonimato che meritano.

Ma poi: cosa ti ha fatto di male la mediocrità?! Cosa abbiamo fatto di male noi, per essere ricoperti di ogni fottuta briciola del tuo ego che si fa strada?! La tua serata bellissima, la tua conquista fantastica, il tuo panorama, Apollonio, hanno avvinghiato come morsa i miei testicoli, fino a divorarli, fino alla rabbia cieca che non è invidia soltanto per non darti il diritto di crederti meglio di ciò che credi d'essere.

Si può asciugare il sudore dalle foto, Apollonio, o si può proprio evitare di sistemarle in pubblico come fossero autocertificazioni della quotidiana fatica dell'obbligo al divertimento. Non so se lo sai, ma ho chiesto in giro: si può vivere senza mani, se le usi per pubblicare la firma della tua noia.


E invece no. Ci sei anche stasera sul podio della banalità, con questi ritratti di bicchieri, con la tua ragazza e la tua borsa, con tua madre e con il tuo presente presuntuoso, con la differenza fra il credere e il credere di pensare. E con questa mania dell'opinione.

sabato 6 dicembre 2014

Più breve è il respiro, più lungo è l'urlo

05 dicembre 2014

Un urlo. Ho visto la luna, e ho urlato.

Prima ho visto Luana. Alla seconda o terza volta allo stadio a Foggia, lei è salentina, cosa ci facesse nella nostra Curva Nord lo sanno solo lei e il suo ragazzo, foggiano. Anzi, malato. Del Foggia. Non l'ho guardata proprio, l'ho piuttosto usata come scudo: se resti in piedi, vuol dire che non è successo un cazzo.
Prima ancora ho visto Luigi. Che aveva urlato: "Se segnano, mi getto di sotto". Non l'ho mica preso sul serio, ho solamente sperato di ritrovarlo venti metri giù qualche secondo dopo.

Non è successo niente, ed è successo tutto. Cosa vuoi che sia un gol? Prova a toccarmi la braccia e il petto adesso: sono le 3, sono passate quattro ore da quando ho lasciato lo stadio, e tremo. Tremo, sì, i brividi sono comparsate irruenti sui muscoli, gli arti stanno al loro posto per dovere di normalità, ma se potessero, partirebbero.
Sto resistendo, ogni minuto sarebbe buono per urlare il mio godimento, ma resisto. Ho camminato solo per via Arpi, indugiando gli sguardi nelle vetrine vuote e nere, o sotto i lampioni arancioni; ho fissato il pavimento bucherellato e bagnato; ho finto di salutare persone note; e tutto per non urlare, per non divaricare le braccia al cielo e invocare pietà per la mia anima di tifoso meritatamente felice.

Cazzo, quella palla! È entrata lì dove doveva, non un centimetro di più non un di meno. Vista dalla prospettiva del tiratore e del portiere è stata una perla, vista dalla parte del settore è stata una feroce istigazione al delirio.
Immaginate una camera di fogli, sparsi dal vento prepotente soffiato da una finestra spalancata: ecco la curva, subito dopo il rumore sordo della rete, accompagnato solo dall'eco dell'esultanza che aggira la circonferenza degli spalti per aggregarsi alla tua voce. Istericamente entusiasta. Liberata come si libera una scoreggia in campagna, o uno sputo nell'universo.


Impazzire, letteralmente, dall'entusiasmo. Essere sopraffatti dalla verità dell'istinto, spesso scomoda, oggi ineffabile. Un'esplosione devastante. GOOOOOLLLLL!!! Dov'è il Diavolo? Dove sono i santi inquisitori? Dov'è il dolore? Dov'è la tristezza? Tutto in una palla, la multa del nostro desiderio mai appagato è stata strappata. È cancellata.
L'arco disegnato idealmente supera la barriera ed entra nell'angolo, la sincerità del cronometro dice 90esimo, le maglie rossonere sono sparite ad esultare, io sto facendo l'amore con la gravità, ho i piedi per terra e la testa sulle nuvole: Foggia-Lecce 1-0.

Riacquistare la calma è una concessione al senso di realtà, faticosa, forzata, bugiarda. Quanto manca? Non lo so, invento "5 minuti" che si moltiplicano in maniera asfissiante, quasi offensiva. Tanto che in un diametro di questo spazio infinito, un paio di lontane e felici sagome rossonere infilano l'azione del 2-0.
Come? Quando? Perché? Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo bene?!... Vorrei chiamare, vorrei chiedere, vorrei spiegare, vorrei amare. Sono pure ubriaco, ma non so più se c'entra l'alcool, io ho perso la testa.
Di fronte ci sono quelli forti, ormai campionati luce distanti di noi, nel primo tempo potevano fare tre gol, con un solo giocatore venuto dalla Serie A, Moscardelli. Ora sono come arresi all'evidenza, che dice li stiamo battendo.
Anzi, li abbiamo battuti. Abbiamo vinto. E mi pare quanto di meglio sia mai successo, anche se non so se nella mia storia di uomo o di tifoso rossonero. Perché spesso, infatti, sono la stessa cosa.

martedì 2 dicembre 2014

Quel vento che mi ha spiegato la morte

25 agosto 1994

Un piede dentro casa, poi l'altro, l'ultimo sguardo al cielo, la chiazza nera è alta e allo stesso tempo sempre più vicina, l'aria puzza di polvere bagnata, tiro la corda della serranda avvolgibile.
Che fa un primo scatto, e inizia a chiudersi: l'infermiera vuole meno luce, siamo pur sempre in un reparto di terapia intensiva, attorno è il silenzio, solo una mano nella mano.
La mia, quella sinistra, è qualche centimetro sopra la destra nella presa del cordino della tapparella, ma non tirano, entrambe ferme come me a misurare la potenza del vento dal numero di buste e carte che hanno fatto cono e si rincorrono sempre più vorticosamente sul terrazzo. Un altro scatto verso il basso.
L'avvolgibile si abbassa ancora, ché questa luce sporca e rumorosa fa paura anche a chi finge di dormire. Da quanto è qua non lo ricordo, ma sua sorella le stringe le dita come un guanto. Com'è pallida! Sono tutti pallidi su questo piano, l'assenza spaventa, e anche i pianti restano soffocati e disorientati sotto gli occhi.
I miei si fanno fastidiosi, deve esserci entrato qualcosa. Lo sporco di questa ribellione atmosferica fa tremare le sagome degli oggetti e la mia epidermide, si chiama "pelle d'oca", mezzora fa ero in strada a correre e sudare, ed ora gioco ad aspettare la fine del mondo. E chi l'aveva mai visto questo demonio? Abbasso ancora.
L'avvolgibile scende pure nella camera d'ospedale, è entrato il dottore, "chiudete tutto", la cappa crollata sul cielo di fuori si è presa pure l'aria di dentro. Come è immobile lei, sul letto, quanta vita in quei capelli biondo oro, se si fosse svegliata avrebbe fatto tuonare il palazzo con una risata di felicità, e appresso a lei tutti i familiari ora devastati. Ma non succede, resta il buio.
Quello della mia cucina si fa spettrale: sono le 12e30 e sembrano le 21, quelle di una spiaggia buia con il mare infestato di ombre di nero, e la sabbia che ha deciso di emigrare dal suolo e prendere il volo. La serranda è tutta giù.
Quella della terapia intensiva da un pezzo. Il vento la agita, vorrebbe scardinarla, è chiaro: una donna di questa bellezza in coma è un disonore per il creato. Ave Maria, si prega, ma dal cielo inizia a scendere solo acqua. Nessuno è perfetto.
Neanche il senso di chiudersi in una camera, come sono rinchiuso io in cucina, mentre la città di là si sta aprendo, ed io qua non posso fare niente, perché ho pensieri solo per Lei.

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Che ha visto alberi abbattersi, raffiche ululare, fulmini martellare, fratelli piangere e figlie maledire.
Zia, quel giorno di agosto, una tromba d'aria, e tu che non hai aperto gli occhi, avete reso tutto più grigio.

lunedì 17 novembre 2014

"Io non sono antirazzista, ma": Tor Sapienza non spiegata a chi non vuole capirla

Venerdì, 14 novembre

Dove finisce la miseria? E dove inizia?

Il sole è alto, colorato e sta scendendo, ma riscalda quest'aria gelida in una Roma che Roma non pensa di poter essere. L'autobus per arrivare qui, partito dalla metro di Ponte Mammolo, in pochi minuti ha già fatto il suo dovere, allestendo una farsa di legalità tra controllori e polizie improvvisate a mietere multe i cui frutti nessuno mangerà mai.

Il biglietto non è valido, chissà da quanti giorni lo usi sto biglietto, ah il biglietto non ce l'hai?, eh ma questo biglietto non è obliterato, quindi non hai i documenti, dai controlla nello zaino, mi spiace te lo giuro guarda fosse per me. Le porte restano chiuse, questo posto è fatto per essere ostaggi.

Scendo, scendiamo, camminando lo spaesamento si fa meno aggressivo, ma resta sempre alle calcagna, l'odore di pneumatici di un gommista mi conforta, profumo di normalità, la strada da fare non è chiara, ma ci sono solo due sensi di marcia: avanti o indietro. Certi luoghi sono costruiti per invitarti a non rimanerci.

Si prosegue. La prima telecamera e il primo microfono, all'uscio di un luogo dismesso e occupato, segnalano la presenza di evento funesto nelle vicinanze proprio come un filotto di auto parcheggiate sul ciglio di una strada provinciale ti dicono che la festa del paese è già iniziata.
Poi arriva una secchiata di acqua colorata e rivitalizzante.


La bellezza non è casuale, sta dov'è bisogno che ci sia.
Le vie che tagliano questo stradone si fanno sempre più strette; i marciapiedi si restringono sempre più, e superarli significa saltare tra montagnette di asfalto buttato lì a caso, sopra le radici di alberi che non conoscono la sportività e, quando possono, si gonfiano come vene a pulsare sui bordi di un pezzo di terra da cui vorrebbero fuggire.
Decidiamo di tornare indietro, il nulla si è fatto troppo nulla, la prospettiva disegna solo una lunga carreggiata. L'idea di essersi persi ci accarezza maliziosamente, soffia vento sempre più fresco, infila docile le mani tra i capelli e ne tira fuori pensieri rassegnati.
Poi la rassegnazione si fa schiaffo: stupidi, che credevate di trovare? Cosa cercate che non avete?


È Tor Sapienza pure questa, mi dico. Anzi, m'arrendo.
Il degrado ha le sue incomprensioni, come la grande scultura finita in una chiesa senza storia o senza nemmeno un pezzo della croce di Cristo.
Lucidamente cambiamo sponda dello stradone, sappiamo di essere più vicini alla meta, abbiamo tre opzioni, fingiamo di vagliarle tutte e tre, poi scegliamo quella di fatto già presa, prima di accorgerci del nome: via della Cicala. Parallela di via della Formica e via della Farfalla. Stiamo andando ad assistere a dell'odio diffuso, ma lo facciamo con stile, e attraversiamo villette di una tranquillità e di un silenzio che mettono paura.
Alla fine della discesa c'è il parco. C'è tanto verde, il sole costruisce il suo ultimo ponte sullo sfondo. L'aria pare sotto anestesia, non fa male, non fa bene.


Poi lo stormo se la dà ad ali levate. Eccola la zona rossa, che poi è una zona nera.
Il benvenuto alla realtà ce lo danno le pattuglie, le troupe della tv subito dopo, e i blindati ancora oltre, con la finanza a chiudere la scenografia.
Si pensa piano per non far rumore, parafrasando un banale Vasco, ma soprattutto per non dare nell'occhio. Qui ultimamente sono tutti stranieri: gli stranieri, i giornalisti, gli italiani che non parteggiano per questa comunità, i politici passati a capire il livello di disumanità, e pure quelli venuti a sciacallare nel calderone mediatico più che in quello locale.
Un'ambulanza va e viene, capi di polizia gestiscono il disordine pubblico, il popolo è in prepartita. Sembrano le mute incomprensibili scene iniziali di un film.


Deve arrivare Marino, Ignazio, il sindaco, o il suo simulacro.
Chi non ha una buona vista, o non è abbastanza alto, il primo cittadino non lo vedrà praticamente mai, infatti. Perché se una prima scorta lo protegge, una seconda, abusiva, scorta lui e la sua scorta in una specie di processione impazzita, attorno a cui ruota la la terza scorta, con gli obiettivi e i microfoni. In mezzo, l'odio, con la gara a chi lo urla meglio, con lo slogan più accattivante e simpatico, contro chiunque, ovunque.


È il disagioLo spiegano: la sera qui c'è solo buio, non ci sta niente, quell'impalcatura sta là da cinque anni, i bambini non possono giocare, abbiamo paura, la sporcizia, le bottiglie di birra per terra, le macchine rotte, rubano, si prostituiscono, poi i trans, scopano per strada io li ho filmati, l'iPhone, l'iPad, gli danno pure la ricarica telefonica, 30 euro al giorno, 35 euro al giorno, 40 euro al giorno, non lavorano, non sanno che fare, sono abbandonati, la maggior parte so pure minori, anche se qua i minori non ci sono mai stati, a me dispiace pure, non so tanto loro quanto è piuttosto il campo Rom, io non sono razzista ma.

Ho la testa livida di confusione.
Sono incapace di reagire, chi ha più fegato di me e prova a intavolare un dibattito si trova poi con la mia stessa espressione dal malessere intrappolato.
Sono tre ore e sembra passata una vita; una vita di guerre dove uno dei due nemici non c'è, ma devi fidarti, esiste.
Qui non c'è più spazio, questa è la sintesi. Non c'è più spazio per altro, non c'è più spazio per l'altro. Per uno che anela solo a un'innocente vita tranquilla, ce ne sono nove che quelli lì non li vogliono più, e basta.

Il colore, la razza, la provenienza, la causa: la storia non è più una risposta, la povertà non è più niente.
"Siamo noi i poveri". E allora io sono ricco? Trasecolo. È facile porre le distanze da casa, dal pc, dalla televisione, ma qui il rancore è vivo e brutale, e ti parla non staccandoti mai gli occhi da dosso: "Vieni a vivere qui, e poi vediamo!..."
E pensi però che quel "prova a vivere qui" è lo stesso margine di dubbio che meriterebbero loro, gli altri.
Pensi che i criminali a chilometro zero non siano meglio o peggio di quelli venuti da fuori.
Pensi che non te ne frega niente di quanti soldi gli danno, anche se sai che quella dei 30 euro è un'enorme cazzata in malafede, saranno al massimo 2 o 3 al giorno.
Pensi che loro, gli altri, quando sono partiti, hanno fatto una scelta e la stanno affrontando, nel bene e nel male, e sono vite come la tua, e per questo meritano rispetto.
Pensi, ma quanto ho pensato oggi? È così difficile spiegare che l'odio porta odio?

Perché io non sono anti-razzista,
ma quelli che vorrebbero cacciare gli immigrati mi fanno proprio schifo.

venerdì 31 ottobre 2014

Ma chi l'ha detto che il 4 dicembre 1994 il Foggia ha perso 2-1 a Bari?!


Rai 3. Quelli che il calcio. Anzi, no: da dove parto?
Fabio Fazio. Conduce una delle trasmissioni più viste di quegli anni, calcio e non soltanto, calcio come pretesto per parlare d'altro, ma non troppo, Marino Bartoletti e Carlo Sassi riportano spesso il baraccone al pianeta di riferimento: le partite, i risultati, i gol. Cosa succede sui campi? Oltre a quei pochi eletti in studio con il monitor davanti (dio solo sa quante domeniche ho passato sperando potesse diventare quello il mio lavoro da grande. Non il monitor, l'ospite in studio), a saperlo sono solamente loro due, quelli di Tutto il calcio minuto per minuto, e i tanti fortunati con un posto allo stadio. Lì dove il calcio si fa.

È il 4 dicembre 1994.
Due giorni dopo è San Nicola, come lo stadio di Bari, anch'io mi chiamo Nicola, e odio il Bari. Foggia odia Bari, e viceversa (almeno a quei tempi). Non è una cosa seria, è così e basta. È giusto che sia così. Vicine di terra e anche di classifica, le due pugliesi: 19 il Bari, 17 il Foggia.
Noi abbiamo Mandelli, Bresciani e Kolyvanov, loro Tovalieri, Protti e Gerson. Loro sono più forti. A noi ci allena Enrico Catuzzi, buonanima, è morto nel 2006 per un infarto, sessantenne, da giocatore era stato tanto nel Bari, a inizio stagione è stato chiamato a raccogliere la pericolosa eredità di Zeman, anzi di Zemanlandia, il culto della vittoria a ogni costo, anche quello di perdere, e spesso, in maniera assurda, nel delirio da onnipotenza e irresponsabilità di chi non ha mete o obiettivi da raggiungere.

Insieme al sindaco di Bari, Memola, c'è Vincenzo Matarrese, presidente del Bari e fratello di Antonio, quello con gli occhiali che comanda tutto e che ha fatto fare l'astronave, la finale per il terzo posto di Italia '90 e la finale di Coppa dei Campioni a Bari.
Per il Foggia c'è l'avvocato Buonomo, credo, non vedo l'avvocato Giacinto Pelosi, che sarebbe il presidente, e sicuramente non c'è Pasquale Casillo, l'ex capo napoletano pieno di soldi e brutte amicizie, arrestato ad aprile per mafia, concorso esterno (e finito assolto).
Tante facce, chiuse dentro cappottoni, la tribuna è piena, le curve pure, in quella del Bari c'è una bandiera con la croce celtica, in quella del Foggia pure, lo stadio fa rumore, entrano le sacre maglie, biancorossa con scritta Wuber loro, asciutta rossonera con orribile disegno Snips noi, i soliti bigliettini bianchi stile campionato argentino sporcano un manto erboso, quello di Bari, che ha sempre fatto schifo.

Segna subito Tovalieri (e chi, sennò? Quella stagione ne farà 17), i bastardi fanno quel maledetto trenino, cazzo come lo ho odiato quel trenino; a primo tempo finito, come un fulmine di sereno in un cielo di merda, Gigi Di Biagio sgancia un siluro talmente bello che in tribuna, tra i baresi, scoppiano persino a esultare i pochi intrusi foggiani tra cui Pino Autunno, figura mitologica a metà tra un addetto stampa e un imbucato alla festa. Le telecamere riprendono pure una vecchia signora di cui non ricordo il nome, tifosa del Foggia, che dio l'abbia in gloria!

Nel settore stampa c'è pure Everardo Dalla Noce, vecchia voce del giornalismo economico, che racconta a Fazio del gol di tale "San Biagio", poi in studio mettono la voce di Radio 1, Enzo Foglianese, che racconta per bene il pareggio, 1-1: inquadrano un tizio, non so chi sia, ha in mano una sciarpa. "FORZA FOGGIA".
Questa storia finisce così.


Anche se dopo, nell'intervallo, ai microfoni dell'uomo del tg regionale Catapano c'è il Matarrese scemo che scherza col sindaco di Bari, che dice "Vinceremo! Ma non è uno slogan politico", (perché era socialista lui..), poi il Foggia prende una traversa, poi c'è un ex giocatore del Bari che dice che il Bari meriterebbe, e poi quello stronzo dell'arbitro Nicchi che dà un rigore al Bari ma Gautieri (credo) se lo fa parare dal mio mitico Franco Mancini.

E io esulto. Dai! Sono passati diciassette anni, Franco nostro non c'è più, un infarto s'è preso troppo presto anche lui nel marzo 2012, ma io esulto ancora, pure se qualche minuto più tardi quel barese di merda di Lorenzo Amoruso segna il 2-1, e lo dice anche Everardo Dalla Noce a Fazio, e il derby se lo prendono loro, e a fine stagione retrocediamo pure, e in Serie A non ci siamo più tornati.
Ma per me è come se fosse ieri, anzi, come se fosse adesso. Mi basta leggere "FORZA FOGGIA".
Questa storia finisce e inizia così.

lunedì 6 ottobre 2014

Gocce di poesia - Atto XI

PERDERE PER RITROVARE
(parte 2 - "Riproposizioni complesse")


Bugiarda.

Come una mezza pinta.
Come mio padre incinta.
Come la pioggia che non bagna il mare.
Come il tempo di chi non sa aspettare.
Come Sanremo, le rose e il pregare.

Bugiarda costante, come i finali,
come i colori non primari.
Come le auto senza le ruote, come quel vento che non sbatte porte.
Come le foto, come i vestiti, come le torte con i canditi.
Come gli accordi e le divisioni,
come i cantieri,
come i padroni.

Come i contorni e come le bare.
Come la libertà di chi non vuol sbagliare.


domenica 28 settembre 2014

Il miglior amico del disoccupato


 - Allora come stai?
 - Bene, direi.
 - Il lavoro?
 - Ah no, quello non ce l'ho più.
 - Sei disoccupato?
 - Sì.
 - Oh complimenti!
 - Grazie grazie.
 - Finalmente ci sei riuscito?
 - Eh ci giravo attorno da un po' in effetti...
 - Comunque, tutto è bene quel che finisce bene.
 - Vero, l'importante è esserci arrivati.
 - Come ti pare?
 - Non male, anche se è ancora da poco.
 - Certo, ora devi prenderci la mano, ma ti ci abituerai presto.
 - È quello che mi stanno dicendo praticamente tutti.
 - Ne conoscerai tanti in questo periodo, la concorrenza è spietata.
 - Ho notato. Facebook non è mai stato così attivo come in questo giorni.

 - ..E un lavoro nuovo lo stai già cercando?
 - Sì, ma a cazzo di cane: non mi contatterà nessuno, sta' tranquillo.
 - Fantastico! Progetti per il futuro?
 - Guarda, sarai uno dei primi a saperlo: sto pensando di comprare casa.
 - Apri un mutuo e lo fai pagare ai tuoi?
 - Sarebbe proprio quello il piano.
 - Ti stimo! E i tuoi che ne pensano?
 - A loro basta essere appagati dall'idea di avere un ruolo decisivo nella mia sopravvivenza.
 - Chiamali fessi...
 - Fatto anche quello.
 - Proprio dei genitori modello! E scommetto anche che prenderai casa da solo? Non hai una ragazza, una compagna o una moglie, vero?
 - Decisamente no.
 - Insomma sei in alto mare e non hai la minima idea di quello che stai facendo?
 - Puoi dirlo forte amico!
 - Bello. Ma lo sai che non durerà per sempre? Lo sai che troverai un lavoro fisso, una casa fissa, una famiglia fissa, un'auto fissa?...
 - So tutto, ma se non provo a coltivarlo adesso il sogno di non realizzarmi, quando lo faccio?
 - Hai ragione amico. Anzi, ammetto d'invidiarla sinceramente la serietà di questa tua prospettiva sconclusionata.
 - Onorato. Grazie Jule!


giovedì 25 settembre 2014

Gocce di poesia - Atto X


PERDERE PER RITROVARE
(parte 1 - "Riproposizioni semplici")


Disponibile. Sempre.

Come una prostituta con gli occhi tristi, e come un complice, come una stanza vuota.
Come una meta che non vede riposo davanti ai turisti. Come le repliche, come una scorciatoia.
Come la solitudine dei ricordi che ti presti. E come il mare d'inverno, come del tempo l'usura.
Come la parola innocua posta alla fine dei mezzi busti. E come il buio di notte, come la mia scrittura.

Disponibile.

Come la giostra che non smette di girare e come il torto, come la folla chiamata a condannare.
Come il gemito di piacere e come il sudore, come il vicino che spiega ciò che devi fare.
Come il perdono di Dio, come il dolore e come ogni santo natale.
E come i pianti per la crocifissione di Cristo, mentre qualcuno lo si poteva davvero salvare.



lunedì 1 settembre 2014

L'alfabeto dell'estate 2014: B come "ballare"



Ballare - Vi sono varie forme per definire la parola ballo: si va da "malore per rigetto di stasi", a "incapacità non motoria", per finire a "inarrestabile dissenteria di gesti".
D'estate si balla. Lo chiede il sole, lo desidera il mare, lo pretende la noia. E non è più soltanto il lato pop della musica commerciale ad aver appaltato l'ex bella stagione al verbo della danza (anzi, il binomio ha accusato negli ultimi anni una serie di colpi a vuoti dovuti al fatto che oggi la produzione è tutta pensata per scatenarsi e muoversi, e che probabilmente, fosse stato nostro contemporaneo, si sarebbero ballate pure le canzoni di De Gregori). Tutto, infatti, è ormai ballato.
Lo è quella banda funk moderna che marcia simpatica e colorata con gli strumenti per la strada durante la festa di paese, muovendosi naturalmente a ritmo, negandoti così pure la possibilità di centrarne dalla finestra uno o più elementi a colpi di fionda.
Lo è la palestra, dove, dall'aerobica allo step, non una chiappa sudata si muove senza essere accompagnata da qualche compilation con almeno un pezzo di Pitbull nonché l'immancabile versione dance della colonna sonora di Titanic (anche in spiaggia, ai soliti e quasi mitologici balli di gruppo, si è ormai affiancata stabilmente la ginnastica tonica con caviglie che si trascinano appesantite a suon di remix di The sound of silence).

Quindi c'è la sera, il relax: ballato pure quello.
Nella pista allestita dietro l'unico bar del villaggio, che pare a tutti gli effetti un parcheggio per vecchi, si sistemano prostate e dentiere impegnate in giravolte infinite misurate dalla ripetizione costante dello stesso movimento, per qualsiasi brano, su qualsiasi nota: la mazurca, espressione rilassata del dinamismo immobile del regime comunista. Unica variante lecita: l' hully gully (ai più noto come "lalligalli"), la storica processione di passi che i miei occhi hanno visto applicata, nella stessa ora e sulla stessa superficie, a I Watussi di Vianello, a un ignoto pezzo latino-americano e ad una tristissima canzone del Celentano post-conversione grillina.
Quindi c'è la mesta celebrazione della mondanità giovanile ai più nota come: "andiamo a ballare?". E può essere tutto, e di solito è tutto, tranne che quel verbo: cocktail a 7 euro, file sudate dietro una cassa rallentata dalla scollatura della barista, esercizi di scaltrezza per il furto dei pochi posti a sedere liberi, ricerca di spiragli di buio in cui consumare quel tocco di fumo a cui si consegnano sempre troppe aspettative, discussioni politico-sportive urlate a causa della musica, deprimenti tentativi di abbordaggio o in alternativa defezioni per accoppiamento degne dei rapimenti dell'Anonima sequestri ("Hai visto Luca? - "Stava con una..." - "Sì ma sono passati quattro giorni"), e poi litigi, scazzottate e sonni profondi.
Prima di svegliarsi per vedere l'alba, e tornare a casa quando papà è pronto per andare a comprare il giornale: "È tardi. Sei andato a ballare ieri?" - "Si vede?..."



sabato 30 agosto 2014

L'alfabeto dell'estate 2014: A come "animatore"


Animatore - È lui, è lei, sono loro i veicoli del male.
Sei in spiaggia, non hai niente da fare semplicemente perché non vuoi fare niente, non devi fare niente, sei lì apposta, a godere di questa fortuna che capita (se capita) una volta l'anno, sei moralmente autorizzato a gestire in maniera brutta e inutile il tempo che ti separa dal prossimo bisogno primario, hai persino la possibilità di farlo con un'invidiabile e insolita serenità d'animo, ed invece: "VUOI PARTECIPARE AL TIRO ALLA CORDA?" - "Ma non si chiamava tiro alla fune?" - "Vabbè è uguale, comunque ti va, alle 15 vicino alla torretta?" - "No."
No, perché non esiste una torretta in questa spiaggia di merda. Poi perché a quell'ora digerisco, oppure dormo, magari tutte e due le cose insieme, e poi fa caldo, in ogni caso nessuna ti dà il diritto, solo perché hai una maglietta con una scritta (ne ho qualcuna anch'io, che credi?) e un pantaloncino magari dello stesso colore della maglia, di venire a svegliarmi, di toccarmi, di rivolgermi espressioni mirate alla condivisione di un momento di cui nemmeno ti frega un cazzo, ma che ti serve solo per giustificare quei pochi spicci che ti danno di paga!

Quindi, superato il fastidio, mi coglie la fase di riflessione: perché gli animatori sono sempre di un altro posto? Mi spiego: sono di Foggia, vado in una località balneare in provincia di Foggia, e mi trovo questo stronzetto con gli occhiali alla Woody Allen e la simpatia di Ignazio La Russa il quale ironizza sul fatto che, a causa del suo essere vagamente barese, si trova 'costretto' a frenare le sue simpatie per il Bari o chissà quale altra squadraccia di quel pezzo di mondo definito "resto della Puglia". Ma che vuoi? Ma chi ti vuole? Chi ti ha chiamato? Perché non vai a rianimare gli ogm di "Pane e pomodoro"?
(Qualche anno fa, in zona Vieste, trovai una barista proveniente da non so quale anfratto scarsamente illuminato tra il Piemonte e la Liguria: "Vengo qui perché c'è più lavoro, ogni anno trovo sempre un lido disposto a farmi lavorare, ma appena finisco vado a casa, non mi piace tanto il posto". La figlia di Cavour, sarà stata una pronipote al massimo.)

Ma chiudiamo con gli animatori, anzi chiudiamo gli animatori: al buio, legati, così per vedere l'effetto che fa, direbbe Iannacci. Portatori instancabili di un'allegria parzialmente scremata da quell'appiccicosa etichetta che si portano incisa sul sorriso di cortesia: "SONO ALLEGRO MA NON MI VA PER UN CAZZO: STO QUA SOLO PER FAR DIVERTIRE TE!"
Allora ti senti anche un po' in colpa. Non per loro, 'sti cazzi, che si annoino pure... Ma per te stesso. Pensi: e se davvero avessi dato l'impressione di volermi divertire? Sarebbe un precedente. Subito dopo verrebbe la richiesta d'aiuto disinteressata al parente mezzo prete ("Ho una crisi di coscienza..."), quindi si finirebbe direttamente al sostegno economico della mafia, pur non avendone alcun bisogno.
E tutto questo perché un adolescente fisicato e una burrosa pagnotta di buon umore, in cerca della loro borghese indipendenza economica, hanno interrotto il tuo sogno erotico con Antonija Misura per invitarti a partecipare "a una bellissima mezzora di ZUMBA TONIC!". Che non è nemmeno un corso d'assaggio di cocktail.


venerdì 8 agosto 2014

Metà-Racconto



Ho mezzora per raccontarvi di una mezza sega incontrata davanti a una mezza pensione, nel bel mezzo di una mezza stagione, che poi mezza non sarebbe, ma lo è diventata rinunciando ad ogni aspirazione estiva.
Lui si chiamava Mezzut Gallo, di padre mezzo turco e mezzo uomo deciso col tempo a trasformarsi in donna (per ora ancora mezza), figlio a sua volta di mezzadri catapultati in città dall'urbanizzazione delle masse contadine.

Mezzut si faceva largo in mezzo alla strada a colpi di "mezza", che un tipo di mazza con la particolarità di essere storpiata in una lettera per la sola circostanza di trovarsi in questo scritto. Con questo mezzo, lui divideva le masse proprio come Mosè in quel tempo divise gli ebrei.
Semi-sforzo (azione riflessiva smorzata), posso ricordare Mezzut venire apostrofato come il più stupido dei mezzosangue e contemporaneamente il più famoso utilizzatore di mezzucci completamente inutile ad elevare le sorti della sua persona.

Pari-menti tu (azione giudicante equilibrata), lo conosci Mezzut e non puoi non affermare che la sua brutta poesia di mezzanotte fosse l'abitudine più insensata che un mezzo italiano potesse avere, come quando si inventò che "Nel mezzo del cammin di nostra vita, la cute si ammoscia e la capigliatura se ne va ingrigita".
Di-visi (complemento di specificazione separata) come quelli combattuti dalle cazzate di Mezzut ne ho visti però pure nei mezzodì di certe domeniche, quando il nostro semi-nava (azione produttiva ridimensionata) il panico tra i tifosi interisti di metà anni '90, urlando e ribadendo che Luca Mezza-no fosse meglio di Roberto Carlos.

PS (meta-fisico). Durante gli anni del liceo, ho passato molte serate estive in un posto chiamato da tutti "La Mezza".


martedì 8 luglio 2014

10 modi stupidi per farsi lasciare dal proprio partner

Avete paura, o sognate, di veder interrompere la vostra storia? Un gruppo di ricerca composto da studiosi dell'università nata sulla Salerno-Reggio Calabria, cinque preti e più di venti coppie scelte tra persone che non leggono "Il Post", ha stilato una classifica scientifica con i 10 modi più stupidi per farsi lasciare dal proprio partner.

1) CHIAMAMI PARTNER

 - Ascolta, non voglio turbarti, ma è da un po' di settimane che sento di volerti chiamare "partner".. Ehi ma dove vai??

2) IL PARCHEGGIO

LUI: Guarda, si sta liberando un posto! Se scendi e lo occupi, io faccio il giro con la macchina e ti raggiungo.
LEI: E per cosa mi hai preso, per un oggetto con cui trovare parcheggio?
LUI: Ci andrei io, ma sto guidando...
LEI: Allora lasciami l'auto e guido io.
LUI: Ma non hai la patente.
LEI: Perché tu non hai mai voluto!
LUI: Ecco, hai fatto parcheggiare un altro. Voglio restare solo.

3) LE TABELLINE

LEI: Ahah, senti questa: al supermercato ho preso il pacco da 25 e, arrivata alla cassa, ho dato 70 euro perché avevo sbagliato a moltiplicare 25 x 3.
LUI: E te ne vanti?
LEI: Vabè capita.
LUI: E quante altre volte avrai dato soldi in più, magari!?
LEI: Mai.
LUI: Come posso fidarmi di te?

4) IL CULO

LEI: La smetti di vedere il culo di quella??
LUI: Di chi?
LEI: Ah, allora stai fissando il culo di qualcuno?!
LUI: No.
LEI: Mi vuoi dire che non stai guardando le tette di quella?
LUI: Ma quale?
LEI: Ehi, senti: sei tu che mi hai portato in un posto pieno di donne!
LUI: Ma siamo in maternità, ha partorito mia sorella.
LEI: Certo, nella vostra famiglia poi siete bravissimi a difendervi...

5) COME SE FOSSE IL CULO

LEI: Però, ha messo su un bel fisico Filippo!
LUI: Troia.
LEI: Ma sei impazzito? Ti sembrano parole da dire?!
LUI: Scusa non volevo darti della "troia".
LEI: Guarda che non mi hai detto "troia", hai detto "guardona".
LUI: Oh cazzo...

6) LA PARTITA

LUI: Io stasera non ci sono, vado a giocare coi ragazzi?
LEI: Un'altra volta?
LUI: Perché?
LEI: Scusa non avete fatto una partita ieri sera?
LUI: Ma no, sciocchina: quella era la rifinitura!

7) DARSI ALLA MACCHIA

LUI: Tesoro, qui c'è un'altra macchia, io sono stanco: il tuo cane non lo sopporto più!
LEI: Ma noi non abbiamo un cane.

8) IL COMITATO D'ACCOGLIENZA

LUI: Pronto?
LEI: Ehi amore, ho chiamato a casa, hai visto? Ti ho fatto una bella sorpresa?
LUI: Certo.. avevo spento il cel per dormire un po'.
LEI: Sono in anticipo, arrivo oggi alle 18.
LUI: Ah, perfetto.
LEI: Mi vieni a prendere?
LUI: Ma lo sai che non ho la macchina
LEI: Infatti ci sono i miei genitori con mio fratello, potresti accompagnarli.
LUI: Non saremo in troppi?
LEI: Ma manco da una settimana!
LUI: Comunque non ci ho mai parlato.
LEI: Potreste fare amicizia.
LUI: Tutto in questo pomeriggio?
LEI: E poi tu mio fratello l'hai visto!
LUI: Una sera, in un locale al buio, era di fuori e mi voleva menare...
LEI: Vuoi dire che mio fratello è un alcolizzato?
LUI: No, tuo fratello si droga. E voleva venderla a me.

9) LA SACRA CACCA

LUI: Ehi cara, hai lasciato un bell'odore in bagno!.. Ah ah...
LEI: Come ti permetti?!
LUI: Tu lo dici sempre a me?
LEI: Ma io sono una donna! Non dividerò la vita con un cafone, addio.

10) LIGABUE

LEI: No non cambiare, lascia, questa mi piace: "Femmina come la terra. Femmina come la guerra. Femmina come la pace.Femmina come la croce. Femmina come la voce. Femmina come sai. Femmina come..."
LUI: Senti, va bene tutto, ma Ligabue proprio non lo sopporto.
LEI: Ma se è sua la canzone del nostro primo bacio?
LUI: Cioè, tu durante il nostro primo bacio eri concentrata sulla canzone?
LEI: Non ero concentrata, la ricordo.
LUI: Allora ricorderai pure che maglietta avevo io quella sera?...
LEI: ..Che poi a me due canzoni mi piacciono di Ligabue, per il resto è un cane...


sabato 31 maggio 2014

Le scoperte inutili del ragionier Federico Mellifluo


Scena I

Il ragionier Mellifluo voleva tanto un'aspirina, entrò in cucina per rovistare nel cassetto delle medicine, ma vi trovò soltanto quella stupida Vivincì e una striscia di coca avanzata dall'ultima riunione di condominio. Optò allora per la Vivincì tirata col naso, era un salutista.
"Sembra proprio una serata di quelle in cui a un certo punto svengo", disse prima di svenire, steso come un libro abbandonato sul comodino. La moglie non fece in tempo ad arrivare a disinteressarsene, che subito si vide costretta a fumare una sigaretta per calmare i nervi. Non le piaceva il disordine per casa: "avrebbe potuto lasciarsi andare sul letto il deficiente!"
In quella casa la vita si svolgeva così da circa un mese, da quando il signor Mellifluo, ragionier Mellifluo, era stato sorpreso dalla figlia a pagare tutte le tasse fino all'ultimo centesimo e tutte entro la data di scadenza. Non che la cosa sia strana per un ragioniere, sia chiaro. Ma a Rebecca, 16enne dai banalissimi capelli bruni lunghi fino alla fine del collo, crollò il mondo addosso soprattutto alla vista della ricevuta del canone Rai: era il 30 gennaio.
 - Papà, ma siamo così banali?
 - Perché?
 - Papà, cazzo, sei l'unico della scala che ha pagato il canone! Ho chiesto in giro.
 - Non siamo banali, siamo precisi.
 - Papà, cazzo, il canone Rai! Quelli hanno già pronti gli spot fatti apposta per chi pagherà in ritardo, faglieli usare!
 - Ma hai sempre detto "cazzo" tutte ste volte, o è na novità?
 - Cioè ti interessa proprio sapere da quando uso l'intercalare "cazzo"?
 - Sì. Siamo banali.



Scena II

 "Nessuno esce da questa stanza se prima non viene il prete a benedire la casa!"
 - Non ho capito.
 - Hai capito bene Filippo: nessuno esce da questa stanza prima dell'arrivo del prete a benedire la casa!
 - Mamma tu stai scherzando?! Devo passare in copisteria e poi andare a lasciare una cosa a Lucia.
 - Ci vai domani!
 - Dove?
 - In copisteria.
 - Ok. E da Lucia?
 - Pure. Chi è la tua ragazza?
 - Rosaria, lasciali andare, bastiamo io e te per il prete...
 - Federico stai zitto. Posso avere una volta voce in capitolo in questa casa?
 - Veramente, mamma, qua ci viviamo da due ore, non ha ancora avuto voce in capitolo nessuno.
 - Tu, Rebecca, sei sempre stata il genio incompreso della famiglia. Ma non ti muovi manco tu!
 - Comunque ma', Lucia te l'ho presentata due volte.
 - Non durerà!
 - Sti cazzi, mica mi voglio sposare a 19 anni!
 - Non durerà comunque.
 - Rosà mi sa che sta cosa della benedizione t'ha preso troppo...
 - Ma tu che fai, parli sempre coi puntini di sospensione?
 - Bella questa.
 - Rebecca ma non tu non ce l'hai un amore da salvare come tuo fratello?
 - No papà.
 - Non mi sorprende.
 - Cioè?!
 - Siete uno spasso: me ne posso andare?
 - Filippo se ti muovi giuro che ti urlo quello che non ti ho urlato quando t'ho messo al mondo!
 - Vabè allora chiamo Lucia e le chiedo se mi vuole lasciare per cellulare prima che arrivi il prete a benedire dio solo sa cosa che qua non ci sta niente...
 - Che bello Filì, hai preso pure i puntini di sospensione da papà.
"Certe volte giurerei di non conoscervi", pensò tra sé e sé il ragionier Federico Mellifluo, e si abbandonò sulla sedia, come se in quella casa vi fosse una sedia. E invece non c'era proprio nulla.



Scena III

"C'era una volta..."
 - Papà, questa di sicuro la sa già.
 - È l'inizio, iniziano tutte così le favole.
Così il signor Federico Mellifluo riprese: "C'era una volta una bellissima fanciulla che viveva nel bosco, perché la mamma era morta per farla nascere, e il padre aveva sposato una donna cattiva e arrogante."
 - Papà ci pensi che nelle storie i vecchi vedovi sposano sempre delle stronze?
 - Interessante, Rebè, davvero, ci penserò. Però c'è un bambino, le parolacce magari...
 - Sì scusa, era per farti capire bene il concetto.
"Insomma", continuò il ragioniere, "la matrigna interroga uno specchio, che le dice che la fanciulla, Biancaneve era il suo nome, è molto bella, più della stessa vecchia. Lei allora manda un cacciatore nel bosco a catturare Biancaneve per strapparle il cuore, ma il cacciatore si commuove, la lascia andare e Biancaneve finisce così a casa di sette uomini piccoli piccoli, detti 'nani'."
 - Papà, a questo punto della storia io ho sempre pensato che a Biancaneve sarebbe convenuto tornarsene al castello. Lì la vecchiaccia non avrebbe potuto farle niente, c'era il padre a sorvegliarla.
 - Rebè ma che vuoi?
Mellifluo avanzò: "Con i nani Biancaneve viveva allegra e felice, poi un giorno la strega, travestita da vecchia, si presentò nella piccola casa e offrì una mela a Biancaneve. Ma la mela era avvelenata, e dopo un solo morso Biancaneve svenne."
 - Su questo in realtà aspettiamo ancora gli esami della scientifica...
 "Rebecca sei uno spasso", disse il ragioniere, prima di fermarsi di nuovo. Per un minuto, che divennero subito due. "Quindi arrivò il principe azzurro..."
 - Cazzo dici papà?
 - Non arriva il principe?!
 - Sì, il principe e basta. Senza colori.
 - E che fa?
 - Cosa vuol dire "che fa"?
 - Non ho mai capito come finisce Biancaneve...
 - Finisce che si sveglia.
 - Ok, ma come?
 - Boh, si sveglia e basta. Sicuro poi sposa il principe "e vissero tutti felici e contenti".
 - Senza sapere come?
 - Cazzo ti frega papà?!
 - In effetti. Fortuna che qui bambini non ce ne sono.


venerdì 2 maggio 2014

Come se non avessi mai deciso niente


Per abituarsi alla fine mancano pochi dettagli, giusto un paio di invenzioni sbagliate e due o tre fallimenti portati avanti con entusiasmo.
Io non mi capacito di come le cose siano sempre tremendamente precise, di come i frutti nascano sempre nella stessa stagione, con lo stesso colore e gli stessi riflessi.
Non si vede niente all'orizzonte, eppure i conati hanno organizzato un banchetto davanti all'obitorio dei miei desideri, portandomi a rivedere i concetti di verità e delusione.
Sono arrabbiato mentre fisso le sorprese che mi riserva la vita, mi chiedo come potrei fare se poi venissero a mancare, se ad un certo momento gli eventi decidessero di manifestarsi fissi e consueti.
Ma io non sono nessuno, e il mondo che tengo nelle mani mi è crollato addosso dopo un pianto disperato, di quelli che accompagnano le notti in spiaggia sotto le stelle e i ritornelli di Battisti.
Ho finito adesso la fortunata pesca dei pensieri rimasti irrealtà, delle volontà malamente espresse, delle notti senza giorni, delle gioie mai chieste.
Un dubbio resta dubbio perché ciò che lo trascina è tutta roba nostra, senza dare colpe estemporanee al tempo e alle cose mai liberate dal vento.
Eppure sono calmo, rigido, ho digerito tutto. Ogni palla, ogni boccone amaro, ogni fitta alla testa. Ma ci vuole tempo per riprendere in mano i discorsi opachi e svuotati dalla crudeltà di un mondo privo di fantasia.
Così non resta che aspettare, abituarsi ai tempi bui, amministrare il fabbisogno naturale di serenità, e spegnere tutto un'altra volta.


martedì 22 aprile 2014

Cesso di vivere


È rimasto il cesso l'unico vero luogo per ritrovare se stessi. Qui, l'uomo spinge stronzi e riflessioni allo stesso ritmo e nella stessa identica posizione.
Qui, dove un tempo mi nascondevo per la masturbazione, ora cerco rifugio per scrivere, leggere, pensare o semplicemente stare da solo.
Qui, le ore e i minuti si annullano, sciolti nella convenzione per cui una cacata non ha una durata prestabilita, proprio come le relazioni di coppia; e se nel primo caso la fine dell'atto coincide con il livello massimo di sforzo e soddisfazione, nel secondo invece sono proprio queste due assenze a motivare il capolinea dell'esperienza.
Qui, nel bagno, basta il rumore di un rubinetto aperto per simulare impegno e assicurarsi comprensione, nessuno verrà mai a dubitare della sacralità del vostro isolamento; nello stesso modo in un rapporto si lasciano scorrere beghe familiari e lavorative per garantirsi quell'ora o minuto in più di assenza giustificata, così da guadagnare lo status di "rifugiato morale" che dà diritto a lasciare momentaneamente i confini della propria realtà senza venire considerato, per questo, un evaso. Un bastardo.
Qui, nessuno avrà mai piena certezza sulla costanza o meno del vostro uso del bidet; potranno ironizzare in tanti e lanciare accuse in altrettanti, ma tutti sanno che siete solo voi i custodi ultimi del segreto dell'igiene intima. Per lo stesso processo, nella coppia si può finire imputati, spesso svariate volte nello stesso minuto e dalla stessa persona, di essere troppo o troppo poco innamorati, eccessivamente coinvolti o definitivamente distaccati. Tutto ciò, naturalmente, sempre con prove arbitrarie e deduzioni casuali o illogiche; ma, in realtà, i rancori e le miserie e le botte d'adrenalina che avete provato per qualcuno, le avete sentite soltanto voi, e nessun'altro. Di questo state certi.
Qui, ci sono rimasto abbastanza da poter capire che la vita, là fuori, non è poi tanto meglio ma nemmeno tanto peggio; e che in fondo anche nel cesso l'odore non è sempre quello della merda.

lunedì 7 aprile 2014

La mia ultima fissazione


Arriva un momento in cui ti sembra davvero di esserci nato su quei gradoni.
La differenza fra il cemento e la placenta si sfalda sotto i colpi di riflessioni divelte dalla realtà, mondi inconciliabili si confondono frantumando dettagli tecnici, l'inconsistenza si fa materia e ti abbraccia facendo vibrare corde vocali diretta emanazione della volontà comunicativa dell'aldilà, tanto feroci e sporche nell'aspetto quanto vive e spirituali nell'esecuzione, della cui verità è impossibile dubitare, molto più che di un coro di angeli.

Davvero vorrei sapervi disegnare i contorni di questa fissazione, di spiegarvi che nasce col calcio eppure col calcio non c'entra niente; che le sconfitte la irrobustiscono più delle vittorie proprio come le malattie esantematiche rinforzano il bambino; che il rosso e il nero insieme mi ipnotizzano, e qualsiasi oggetto, scritta o immagine li contenga diventa per me irresistibile fonte di interesse e distrazione; che quando tifo mi sento un uomo migliore.

Questa fede è la mia dote, un'attitudine che sconfina in qualsiasi cosa faccia e decida. Ogni partita è una riga d'orgoglio, fa curriculum davanti a me stesso esaminatore, fotte l'idea atavica dei governanti di distruggere tutto ciò che non si riveli degno di essere venduto.
Tipo l'amore per una squadra perennemente rimpallata tra la provincia della grande ribalta e quella dell'anonimato, scoprendo che in fondo non ha nemmeno tutta questa importanza. Soltanto, forse, potrebbe essere tutto un po' più bello, com'è sempre nella vita.

Io non uso le vittorie per approfittare di essere foggiano; però, dopo tante sconfitte condivise col silenzio, ho aspettato di vincere prima di scrivere due righe di ringraziamento al destino che ha voluto regalarmi una passione per cui molti dovrebbero invidiarmi.
Il perché non ve lo so rappresentare chiaramente, ma se vedete che ora è, e quante parole sto usando per raccontare ciò che il televideo risolve in un numero e 6 lettere, qualche idea potete farvela da soli.
Io so soltanto che sono un tifoso del Foggia. E questa è la mia ultima fissazione, o forse la prima.



domenica 23 marzo 2014

La differenza tra il bene e il giusto è altrove


Sorrido interessato, con gli avambracci fermi sulla ringhiera del mio balcone, spiando l'evoluzione di una faccenda che non mi riguarda, ma è proprio per questo più invitante e utile dell'inconveniente che mi ha portato qui.
Ho come la sensazione che quel signore calvo e dai rigidi baffetti neri finirà, prima della fine di questo post, col cedere dinanzi all'invadente finta gentilezza di questa ragazza che sa ciò che vuole e ancor di più quello che non vogliono gli altri: "Salve. Scommetto che, da buon padre qual è, le interesserebbe un modo per dare un futuro più sicuro a suo figlio!"
L'uomo si ferma tirato come dal lazo di un cowboy, lei capisce subito di aver colto nel segno, per quanto le probabilità fossero molto alte già in partenza, e insiste: "Abbiamo un piano che fa per voi, è perfetto. Le dico solo che maledirà di non averci pensato prima".
Da notare l'uso dei pronomi: il piano è "per voi", ma chi avrebbe dovuto pensarci prima è lui. Il baffuto, poco meno di cinquant'anni, ha la faccia di quello che prima di uscire non stava pensando ad altro che un sollievo per la sua condizione familiare. Come tutti.

Non riesco a leggergli gli occhi da qui, non che ne sia particolarmente capace, ma per come agita la mano nella tasca sinistra del pantalone verde scuro, tirandovi fuori a più riprese delle chiavi, pare evidente che non sia tranquillo. Lei non aspetta nemmeno di farsi interrogare sulla natura del progetto: "Si tratta di un semplice finanziamento, non farò giri di parole: con 100 euro al mese per il resto della vita, dopo la sua morte darà diritto a suo figlio di percepire da noi un reddito minimo di 500 euro, senza versare nulla".
L'uomo sgrana gli occhi, questo sì lo vedo. Traballa tra la voglia di mandare al diavolo la ragazza per una proposta tanto assurda, e il desiderio di firmare subito: "Non ci credo, mi sembra impossibile.."
Lei, un proiettile che ha ben chiaro dove andare a conficcarsi e aspetta solo la naturale proiezione della traiettoria, disegna castelli di speranza sulla tragedia di un'epoca: "Perdoni se posso apparirle dura, ma così mi offende. Se si è fermato, è perché un figlio o una figlia ce l'ha, diciamo sui trent'anni".
"Sì, ho un figlio di 32 anni, consegna pizze a domicilio, part-time, riesce a tirare su anche 500 euro al mese, ma una vita, così, non riesce a farsela, capirai..."
"Mi ha raccontato tutto senza nemmeno che glielo chiedessi, vede che sa già che può fidarsi di me?! Non starei qui a perdere la faccia, con tanto di logo della società in bella vista, se non fossi sicura di ciò che facciamo: 100 euro al mese, e suo figlio avrà tutto il tempo di cercarsi il lavoro che lo soddisfa, senza morire di fame nel frattempo. Ogni euro è garantito. Cosa potrebbe chiedere di più un padre?"

Avrei avuto da ridire qui, un padre dovrebbe ordinare a un figlio di guadagnarsi la felicità a tutti costi, col proprio talento, sostenendolo nelle difficoltà,ma senza lasciargli credere di essere un mantenuto. Avrei voluto dirlo, ma non ho figli e non c'era nessuno con me sul balcone.
A quel punto la ragazza sa di non dover usare più mezza parola di convincimento, il suo lavoro è riuscito in pieno, si limita a lasciare un bigliettino con i suoi dati all'uomo e a salutarlo col sorriso delle giornate più liete mentre il mondo sta cadendo a pezzi. Lui, voltatosi per riprendere il cammino interrotto da quella pioggia di fuoco su una ferita già aperta, mette il bigliettino in tasca e inizia a tirare su con il naso mentre strofina il dito tra i baffetti e le narici: sta piangendo, di quelle lacrime di dentro devastanti più delle gocce che cadono copiose sui visi.
Forse sta ricordando quella frase letta da ragazzo, mentre aspettava l'inizio di un concerto, sul muro di una villa di periferia occupata da coetanei che non aveva mai avuto il coraggio di frequentare.
Diceva: La tranquillità è importante, la libertà è tutto.
Chissà se è davvero così. Chissà se quella frase l'aveva letta davvero lui, e non io.


sabato 15 marzo 2014

La sottile linea gialla



Nel tempo impiegato da Gesù per morire e risorgere, io ho visto più facce che la statua della Madonna di Loreto.
In fila, copia degli zombie ordinati di un brutto film di trent'anni fa, quei volti interpretati da un vetro sporco e appannato mi hanno sfiorato come il puzzo inconsistente ma deciso di piscio agli angoli della stazione.
Cercai furiosamente, ricordo, il mio fazzoletto giallo nella tasca del cappotto. Non era sporco e ne approfittai per portarmelo agli occhi, il buio temporaneo rimise al suo posto ogni paura.
Quando lo sollevai, erano sempre tutti lì, ed io non avevo ancora smesso di negare a me stesso l'esistenza di un problema.
Furono le scarpe bucate della signora che fece per avvicinarsi con il primo numero della giornata a regalarmi la fitta decisiva tra le costole e i reni, quasi che qualcuno mi ci avesse stretto una corda tutto attorno.
Un odore fastidioso divenne nauseabondo alla scoperta che si trattava dell'alito della mia bocca lavata frettolosamente, timida e impreparata a scambiare pensieri in forma di rabbia con un'orda di inconsapevoli poveri ormai arresi al potere dell'arrangiarsi di stato.
Prima di iniziare mi accorsi di non essere pronto, sbadigliai e cominciai a vomitare.
Prima di iniziare a consegnare pensioni dal mio sportello.