giovedì 26 agosto 2010

Sorte e coraggio





Allora prende il telefono e inizia a scorrere la rubrica. A...B...ecco la C. Salta un altro paio di numeri, poi arriva su quello che stava cercando e fa partire la chiamata.
Squillo. Altro squillo. Terzo squillo. Quarto squillo. La pazienza che inizia a sgomitare per andare via...e poi ad un tratto: "Pronto, chi è?"

Risposta, segnale di vita che desta dal torpore e dona irresistibili afflati di speranza. Nulla è del tutto compromesso. E lui, stimolato nell'orgoglio da questa nuova possibilità di riscossa, attacca a parlare come la voce registrata del servizio clienti:
"Claudia, quanto siamo stati insieme, tre mesi? Ecco, in questi tre mesi la mia vita è cambiata! Sono diventato un altro, mi sento brillante, speciale, sereno, quasi invincibile.."
La voce dall'altra parte cerca di interrompere il discorso con poche sillabe: "Antonio senti.."

Ma non c'è niente da fare, Antonio non sente. Tutti i suoi sensi sono occupati unicamente a far confluire da un cellulare all'altro, attraverso un flusso sconnesso di parole che volano grazie a un ripetitore, quella poltiglia di convinzioni, dubbi e speranze che gli frullano dalla testa allo stomaco: "..Dentro di me è tornata quella fiducia che credevo d'aver perso definitivamente. Ho una forza strana che mi vibra nei muscoli e nei tendini, che mi pulsa nelle vene come se avessi fatto una trasfusione di sangue pulito.."
Intanto l'altro telefono ripropone lo stesso messaggio: "Antonio senti...Antò.."

Parole a un muro. La voce di Antonio si è quasi impennata di tono per il rush finale: "Claudia, ascoltami: io adesso sono una persona migliore. E posso amarti ancor più di quanto non abbia fatto in questi mesi. Sei stata sorpresa dalla mia presenza come dalla più inaspettata delle novità, ti capisco. Ed hai avuto bisogno di una pausa per rimettere le idee a posto. Ma non possiamo gettare a mare il nostro rapporto già adesso! Senza averci provato seriamente. Senza aver speso un decimo di tutto il sentimento che ci lega. Senza.."
Adesso l'interruzione è forte e decisa: "..Senza che continui a dire puttanate, per favore Antonio ascoltami: io sono Peppe, il fratello di Claudia. E Claudia non c'è: è uscita con un tizio e ha lasciato il cellulare a casa perché sapevi che l'avresti chiamata. Non ti vuole sentire per un po', ha detto.."

Silenzio. Sospiro, quasi un sollievo. Antonio sbotta: "..Grande Peppe, non sai quanto sono contento!...Cazzo che fortuna! Se tua sorella avesse sentito questo mare di puttanate, stavolta davvero m'avrebbe mandato a cagare per sempre.. Ehi mi raccomando non le dire ciò che hai sentito. Non le dire che ho chiamato. Non le dire una parola. Niente!...Peppe, hai capito?!"
Peppe non capisce, ma si adegua: "Ok Antò, comunque sei un pazzo. Hai rischiato tanto se è vero, come hai detto, che a mia sorella non sarebbero piaciute quelle parole.."

E Antonio, lapidario: "Siamo tutti pazzi, Peppe. Solo che un pazzo sfortunato è un folle. Un pazzo fortunato, invece, è un coraggioso".
Quindi chiude la chiamata e si mette seduto, immobile, a non pensare. I suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue emozioni, tutto resta sospeso in aria proprio come il filo su cui tenta di camminare l'equilibrista. Folle o coraggioso che sia, aspettando il verdetto della sorte.

martedì 24 agosto 2010

Gocce di poesia foggiane - Atto III

NON SI MUOVE UNA FOGLIA


Mo c' vuless nu scaff,
puj' dic' pur' sgarzalon'.
Nu bell segn' sop 'a facc',
n'abbronzatur' fatt a m'n.

T'u mer'tass bbun 'u scaff,
'rrét 'a sta scuffij' d capill.
E se n'n vid partì 'u vrazz,
è semb 'u mj', puj' sta tranguill.

Tu vj' cercann' schitt scaff,
t pij'c a fà 'a provocazion'.
P te s' ponn perd i staff,
po' abbusch' e avasc 'u capacchion'.

Mè fatt dà stu bell scaff,
'ccussì f'nim sta poesiol'.
E n'n r'denn sott 'i baff:
so' scaff pur' sti parol'!

lunedì 2 agosto 2010

Tutto in pochi minuti

Preso per capelli, e sbattuto di testa contro il muro. Sanguinante, grondava piastrine, e attorno la gente fissava il tutto con la calma tipica di chi pensa che la vita sia uno stupido film, e che ci sarebbe stato di lì a poco lo scioglimento dell'intreccio con relativo lieto fine. Invece non si scioglieva niente, se non l'instabile capigliatura del sanguinante, con tutti i ricci attorcigliati tra le dita di quella mano violenta che lo stava uccidendo.

E la testa continuava a sbattere, il sangue continuava a schizzare, la gente continuava a fissare, ed io continuavo a non capire. Si, perché c'ero anch'io: ma dov'ero? Non ricordo. Ma, mentre scrivo, noto che le mano destra è sporca di un colore rossastro. Poi salgo con lo sguardo verso il braccio, scruto le maniche e la spalla, e mi accorgo che anche il resto della maglia è condito da chiazze rosse. E ora ste chiazze del cazzo da dove escono!?

Quell'uomo intanto stava per morire. La testa continuava a infrangersi contro i calcinacci di un muro fragile come una fetta biscottata, i capelli erano di un rosso in tinta unita, il malcapitato neppure si lamentava più. E anche io avevo smesso di parlare. Ancora non ricordo dove fossi, ma due erano le certezze a questo punto: ero in qualche luogo, muto e sporco di sangue.

Quindi cala l'impeto di violenza della mano, l'uomo barcolla, il sangue copre ogni tratto riconoscibile del viso, la testa ciondola passivamente, il corpo è in attesa di una folata di vento che l'aiuti a stendersi una volta per tutte su quel pezzo di mondo. Ed ecco il soffio tanto atteso: un leggero passo indietro, la schiena che va a terra per prima, poi la nuca, le gambe per ultime. Ma non appena il capo sbatté sul selciato, un istintivo ritorno dei sensi scosse l'uomo, che intravide, con quel poco di vista che gli era rimasta, la sua mano destra completamente decorata di sangue frammisto a ciocche di capelli. I suoi capelli. Il suo sangue. Sulla mano che aveva deciso di ammazzarlo. La sua mano.

E l'ultimo barlume di lucidità fu una veloce presa di coscienza, come il riconoscimento del corpo che si fa all'obitorio. Lui, il carnefice, riconosceva sé stesso nella vittima. Fu allora che capii dov'ero. Ero riverso a terra, la mano destra e la testa sanguinanti, in attesa di perdere i sensi. Mentre la mano sinistra scriveva le sue ultime parole: per sempre.