giovedì 11 ottobre 2018

Io non sono mai stato Stefano Cucchi

Sto scrivendo di qualcosa e qualcuno di cui non dovrei scrivere.
Io con Stefano Cucchi non c'entro nulla: non ho mai spacciato, ho fumato di rado qualche sigaretta e pochissime canne, non ho mai iniziato un percorso in comunità, non sono geometra, non ho mai fatto pugilato, non sono romano, non tifo Lazio, non sono mai stato arrestato, non sono mai stato pestato a calci e pugni in caserma dai carabinieri, non sono mai stato rinviato a giudizio con accanto un avvocato assegnatomi di diritto, non sono mai stato da solo in cella, non ho mai avuto attacchi di panico e crisi epilettiche, non sono mai passato da Regina Coeli a una camera da detenuto all'ospedale Pertini, non ho mai smesso di mangiare, non ho mai smesso di fidarmi di chiunque avesse un camice o una divisa. E non sono mai morto, così che nessun familiare abbia mai dovuto stampare la foto del mio volto tumefatto e del mio cadavere pieno di bozzi e lividi su un manifesto da mostrare ai giornalisti, né abbia dovuto stravolgere la propria vita nel tentativo di cercare verità, prima che giustizia, per me.


Tutto può accadere a tutti, ma l'immedesimazione nei fatti ha un valore molto meno credibile di quella relativa ai pensieri più istintivi e alle posizioni che scegliamo di prendere.
Io non sono mai stato Stefano Cucchi. Sicuramente mi è capitato di avere freddo e di stare scomodo come lui, in alcuni momenti non ho capito nulla di chi avessi attorno e forse qualche volta mi ha attraversato negli occhi la sua stessa tristezza, con ogni probabilità uguale è l'affetto e la devozione che abbiamo provato da figli e fratelli verso la nostra famiglia. Banalità. Ogni esistenza è irriproducibile, ogni evento è speciale nel suo essere uguale a mille altri in modo assolutamente originale.
Qualsiasi idea, qualsiasi goccia di odio si unisca al mio sangue pensando a questa vicenda e leggendo oggi su vari siti che un carabiniere ha ammesso il pestaggio dopo l'arresto, non crea alcun legame tra me, la sua storia e la doverosa sete di giustizia di sua sorella.

Io non sono Stefano Cucchi e nemmeno avrei mai voluto scoprire il suo nome. Perché così lui sarebbe ancora vivo, e sarebbe solo Stefano per la sua famiglia. Invece sappiamo quasi tutto su di lui, lo ha deciso la morte. Avvenuta in totale sicurezza, nell'arco della legalità. Inconvenienti dell'abuso di forza. "Chi ha sbagliato, pagherà". Abbiate fiducia, verrà trovato un colpevole, è una fortuna che non capita a tutti. Dovete stare tranquilli: lo Stato sa come riparare ai suoi errori, dovete soltanto dimostrare di meritarvelo. Il potere è nel giusto.

mercoledì 31 gennaio 2018

Vedere non è riconoscere

Ho visto la morte in un sogno. Non il trauma, la caduta, il dolore, la resa. No, ho visto proprio la fine.
Era tutto perso, sancito. Dovevamo soltanto decidere quando, temporeggiare fino all'ultimo centesimo di secondo possibile, solo per godersi il sapore della vita per qualche istante ancora. Ma l'avevamo davanti agli occhi, e non desiderava altro che noi.
Sono venuto dietro di te, ho subito seguito la tua sagoma. Non è stata vigliaccheria, mi hai solo colto di sorpresa. Nessun piano, tutto improvvisato. Morire per morire, tanto valeva fossimo almeno noi a sceglierne l'ora. Sfizio da condannati, poca roba. Neanche lo spazio per capire cosa ci avesse portati fino lì.
Com'è che è andata veramente?
Quanti sguardi incrociati, ma li ricordo appena. Non c'è mai stato il tempo per rallentare, fissare quei volti. Conoscere o ambientarsi non era parte della storia. Per fermarsi sarebbe stato necessario sentirsi al sicuro e noi non lo siamo stati mai. Catapultati in un gioco dalle regole ignote, con un ingresso da protagonisti e un destino da pedine. Rimbalzando veloci come i dadi lanciati sul muro, caricati sulle spalle dal peso di una sorte ricevuta in dono come colpa.
Sei qui per caso e per caso finisci.
Sfrecciano immagini di trappole schivate, affanni allenati dall'abitudine e piccoli ripari di soddisfazione ricavati a sorpresa in un sentiero scandito dal conto alla rovescia dei sogni quasi conclusi. Quando sanno che dovrai svegliarti e iniziano a spingerti verso il finale. Senza più strade alternative o vie d'uscita.
La fuga è finita.
È stato a quel punto che ho lanciato una sedia, un mobile, un aggeggio, qualcosa che speravo potesse farti da scudo. Ma non è servito. Una raffica, secca e letale, ti lascia a terra e lì resti, come in comoda posa nella pozza. Assisto alla scena come un atto dovuto, come se tra di noi fosse già chiaro che sarei stato io a cadere per ultimo.
Mio il sogno. Mia la gloria.
Avverto l'arma accarezzarmi la nuca, provo ad addomesticare l'adrenalina. Ci pensa il colpo. Uno. Pulito. Nella testa. BOOM! Addio. Però, che strano, non mi ha fatto male. Il suono non lo ricordo, è rimasto nella vita passata, ma tutto sommato è stato semplice. Sì, adesso è vero: sono morto. L'ho capito quando ho riaperto gli occhi.