martedì 2 dicembre 2014

Quel vento che mi ha spiegato la morte

25 agosto 1994

Un piede dentro casa, poi l'altro, l'ultimo sguardo al cielo, la chiazza nera è alta e allo stesso tempo sempre più vicina, l'aria puzza di polvere bagnata, tiro la corda della serranda avvolgibile.
Che fa un primo scatto, e inizia a chiudersi: l'infermiera vuole meno luce, siamo pur sempre in un reparto di terapia intensiva, attorno è il silenzio, solo una mano nella mano.
La mia, quella sinistra, è qualche centimetro sopra la destra nella presa del cordino della tapparella, ma non tirano, entrambe ferme come me a misurare la potenza del vento dal numero di buste e carte che hanno fatto cono e si rincorrono sempre più vorticosamente sul terrazzo. Un altro scatto verso il basso.
L'avvolgibile si abbassa ancora, ché questa luce sporca e rumorosa fa paura anche a chi finge di dormire. Da quanto è qua non lo ricordo, ma sua sorella le stringe le dita come un guanto. Com'è pallida! Sono tutti pallidi su questo piano, l'assenza spaventa, e anche i pianti restano soffocati e disorientati sotto gli occhi.
I miei si fanno fastidiosi, deve esserci entrato qualcosa. Lo sporco di questa ribellione atmosferica fa tremare le sagome degli oggetti e la mia epidermide, si chiama "pelle d'oca", mezzora fa ero in strada a correre e sudare, ed ora gioco ad aspettare la fine del mondo. E chi l'aveva mai visto questo demonio? Abbasso ancora.
L'avvolgibile scende pure nella camera d'ospedale, è entrato il dottore, "chiudete tutto", la cappa crollata sul cielo di fuori si è presa pure l'aria di dentro. Come è immobile lei, sul letto, quanta vita in quei capelli biondo oro, se si fosse svegliata avrebbe fatto tuonare il palazzo con una risata di felicità, e appresso a lei tutti i familiari ora devastati. Ma non succede, resta il buio.
Quello della mia cucina si fa spettrale: sono le 12e30 e sembrano le 21, quelle di una spiaggia buia con il mare infestato di ombre di nero, e la sabbia che ha deciso di emigrare dal suolo e prendere il volo. La serranda è tutta giù.
Quella della terapia intensiva da un pezzo. Il vento la agita, vorrebbe scardinarla, è chiaro: una donna di questa bellezza in coma è un disonore per il creato. Ave Maria, si prega, ma dal cielo inizia a scendere solo acqua. Nessuno è perfetto.
Neanche il senso di chiudersi in una camera, come sono rinchiuso io in cucina, mentre la città di là si sta aprendo, ed io qua non posso fare niente, perché ho pensieri solo per Lei.

http://www.manganofoggia.it/images/piazze/piazzaitalia14.jpg

Che ha visto alberi abbattersi, raffiche ululare, fulmini martellare, fratelli piangere e figlie maledire.
Zia, quel giorno di agosto, una tromba d'aria, e tu che non hai aperto gli occhi, avete reso tutto più grigio.

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