giovedì 23 settembre 2010

Gocce di poesia - Atto III


CANTO PER GLI IRREQUIETI


Girare pagina, ancora una volta.
Fino a logorarsi i polpastrelli.
Fino a sgualcire gli angoli del foglio.
Questo capitolo è stato un po' spento.
Trama banale in un contesto favoloso,
ma senza vita.
Non resti a pensarci e vai avanti.
Per nuovi scenari e nuovi problemi,
nuove accuse e nuovi patimenti.
Ripensamenti di ripensamenti.
Arrivederci.


E la strada del ritorno,
tradita e permalosa,
dirà che l'hai trattata da puttana.
Meriterebbe scuse, ma non ora.
Ora bisogna solo concentrarsi:
attendere del libro i nuovi passi,
sperando che non siano passi falsi.
Poi andare, correre e fuggire,
come la fuga mia da quel cliché:
non sono io che cambio prospettiva;
sono le prospettive che cambiano me.

martedì 21 settembre 2010

IL TEMPO DELLE CILIEGIE - Capitolo I

Capitolo I

 - PERSONAGGI RIFLESSI - 


Apollonio è un ragazzo riflessivo e sereno. Forse con un carattere troppo docile, ma mai rinunciatario. Certo è accondiscendente, ed è spesso lui ad adeguarsi ai voleri di Lepido. Però lo rispettano tutti, Lepido in primis, proprio per questa sua dignitosa timidezza, che riesce a esprimere con grandi dosi di comicità semplice e travolgente, ma mai banale e volgare.
Apollonio è un'abile maschera di sé stesso, e mette la sua simpatia davanti a tutto perché con questa può proteggere le sue emozioni e i suoi pensieri, che spesso prendono la via di una battuta stupida, lanciata in un discorso come la carta gettata da chi comincia il giro di una partita di “scopone scientifico”: all'inizio, sola soletta sul tavolo, quella carta non vale niente; ma il gioco ruota attorno a lei e a come si adegueranno gli altri alla sua presenza.
Risvolto purtroppo irrinunciabile di questo carattere è l'esser presi poco sul serio. Apollonio è così tanto naturale nella sua figura di spassoso affabulatore, che a nessuno viene mai in mente di guardare oltre la maschera che porta, per paura di scoprire lati spiacevoli che ne esaudirebbero l'immagine pura e serena, o per timore di trovarsi davanti a delle inaspettate qualità che sarebbero poi difficili da ignorare.
Lepido, che per Apollonio è Lepo, è invece tutt'altro. Ironico e sarcastico piuttosto che simpatico, fondamentalmente buono, è ragazzo di forte personalità.
Più intelligente di Apollonio, che lui chiama Apo, più attento e svelto a capire i diversi modi con cui poter raggiungere un determinato risultato, è ammirato dall’amico per questa pervicace ambizione nonostante si ritrovi spesso ad affrontare rotture traumatiche nelle faccende che lo riguardano, a causa soprattutto delle sue miserevoli scorte di pazienza. Soffre inoltre dell’odioso vizio di voler lasciare dappertutto il segno della sua presenza. Un bonario egoismo che sfocia però in eccessi di tensione nervosa quando il mondo non gira come lui vorrebbe, e che lo trascina spesso a cedere il passo all'istinto, quasi che tutte le questioni della vita si riducessero ad un cerotto da tirar via con più o meno decisione e freddezza per sentire meno dolore.
Purtroppo per lui, però, la vita non è un cerotto da strappare. Il dolore, si sa, non nasce da un episodio in sé, bensì dalla sua percezione emotiva, dalla presa di coscienza (o più spesso di incoscienza) di una crisi e poi di un vuoto apparentemente incolmabile. Tutta la tristezza è legata ad una mancanza. E quando manca qualcosa ci si sente smarriti. Il senso di smarrimento è micidiale: ti prende quando meno te l’aspetti e ti spinge lontano da quello che ti circonda; e solo tu, in mezzo a un mondo disgraziato pieno di luci false e suoni violenti, riesci a sentire questa distanza atroce tra ciò che vivi e ciò che vorresti vivere.
A quel punto tu, proprio come Lepido, hai bisogno del tuo Apollonio. E beato chi ce l’ha, aggiungo io, uno come Apollonio. Uno specchio ad effetto distorsivo, che riflette la nostra realtà in una nuova immagine, riportando alla luce piccole bellezze nascoste e distogliendoci per un momento dalla contemplazione del buio assiepatosi sulla nostra materia grigia.
E tutto sembra meno importante. Ma solo per un momento, purtroppo. Vedete, la distrazione è come un deodorante spray: ora più, ora meno, ha comunque un effetto limitato nel tempo. E non puoi continuare all’infinito a sommergere con alcool profumato i pensieri maleodoranti, perché poi la puzza torna ad avere il sopravvento, e una mattina fai una bella figura di merda pensando di essere uscito di casa decentemente profumato, mentre invece puzzi come un fiore marcio. Allora devi lavarti, e basta. Sperando che l’acqua non diventi di colpo gelida o bollente. Insomma l’avete capita la metafora, è inutile continuare. Cazzo però quanto mi piacciono le metafore..
..Ma torniamo ad Apollonio, a Lepido e allo smarrimento. Al senso di vuoto.  A quel buco nel centro del petto che risucchia ogni energia dalla testa ai piedi. Al cervello che gira a vuoto, bloccato sui sensi di colpa, sulle paure, sui rimorsi, sui chissà se, sui vorrei, sui però, sui non so. Tutto fermo: dolori in corso.
Ecco l'impotenza: il vero male di questo ventennio. Magari le dedicherò un capitolo tutto suo. O forse no. Per ora basta una poesiola.


Occhi scavati dal senso di colpa,
labbra essiccate,
parole a metà.
Ti troverò dove il tempo non conta,
dietro i rimorsi,
o persino più in là.
Misero come una magra raccolta,
terra su cui
mai la pioggia cadrà.
Attendi un cenno, un sorriso, una svolta,
ma sembra morta
ormai questa città.
L'hai uccisa tu con i tuoi calci in bocca,
mentre chiedevi già "scusa",
e "pietà".

lunedì 6 settembre 2010

IL TEMPO DELLE CILIEGIE - premessa

PREMESSA





Apollonio e Lepido erano amici per la pelle. Ma che dico per la pelle, erano proprio amici per le palle! Virilmente intese come simbolo di coraggio e partecipazione. Ognuno sapeva tutto dell'altro. Dividevano tra loro risate, gioie, dolori, litigi, incomprensioni. Tranne che per le questioni d’amore, facevano tutto insieme, anche se avevano caratteri decisamente diversi. Difatti ogni volta l’uno doveva assecondare ciò che aveva deciso di fare l'altro. Errori compresi. Ma l'amicizia in fondo è questo.
Fino al fattaccio potevano essere considerati una sola persona. Due corpi diversi che per qualche alchimia indecifrabile si ritrovavano a vivere come un’unica entità. Una sorta di esperienza umana bipartisan. Tante difficoltà vissute assieme, la convinzione che l’unione fosse la vera forza, come dice  il proverbio, e il desiderio di raggiungere la felicità con quel che s’aveva a disposizione.
Ognuno tentava di prendere solo il meglio dell’altro. E non si trattava di stupida emulazione, bensì di un sincero rapporto di simbiosi. Il vero tradimento sarebbe stato scimmiottare il comportamento superficiale degli altri ragazzi, derisi e giudicati come specie a cui madre natura aveva giocato un brutto scherzo. L’adesione ai comportamenti più comuni sarebbe stata dunque tacciata di infamia, come si fa in un’associazione mafiosa. Ed esattamente come in tutte le storie di mafia, anche nella nostra storia c’è un finale tragico.
Ma il finale non nasce da sé, così all'improvviso, come un rutto. E' l'ultima tappa di un percorso. Arriviamoci con calma. Il tempo non ci manca..


Quando saremo al tempo delle ciliegie
usignolo e merlo faranno festa.
Le belle avranno la follia in testa
e gli innamorati il sole nel cuore.
Però è così corto il tempo delle ciliegie
dove si va insieme a cogliere sognanti
come orecchini..
ciliegie d'amore uguali ai vestiti
che cadono sulle foglie come gocce di sangue.
Quando sarete al tempo delle ciliegie
se temete le pene d'amore evitate le belle.
Io che non temo le crudeli pene
non evito di vivere per evitare di soffrire.
Amerò sempre il tempo delle ciliegie.
E' da allora che porto nel cuore una piaga aperta,
e dama fortuna che tanto mi ha offerto
non ha mai potuto calmare il dolore.
Amerò sempre il tempo delle ciliegie
ed il ricordo che porto nel cuore.

(Jean-Baptiste Clément)