mercoledì 29 dicembre 2010

Finché Orte non ci separi


Cara, ti scrivo perché si appresta la fine dell'anno, ed io mi appresto a lasciare il paese. Non vado in vacanza, non sarà un viaggio di piacere, non staccherò la spina per qualche giorno. No, sarà una vera e propria fuga.
Ti scrivo perché so che altrimenti nemmeno te ne accorgeresti della mia assenza; e perché l'ultima volta che siamo stati insieme tu non hai speso neanche un nanosecondo del tuo nobile tempo a chiederti il senso di certi gesti insoliti che ponevo volutamente alla tua attenzione, come quando mi misi a preparare la valigia sul tavolo del ristorante mentre aspettavamo il dessert, e tu riuscisti a dire soltanto: "In quella valigia c'è una camicia molto più bella di questa orrenda che hai stasera. Dovresti avere più gusto nel tuo abbigliamento quando sei con me!..."
Ti scrivo per dirti che non rinnego quello che c'è stato tra noi, o almeno non tutto. Infatti dei primi due giorni del nostro amore ho un ricordo bellissimo. Quello che mi fotte sono i quattro anni e mezzo venuti dopo. Ma non è tua la colpa di questa rovina, o almeno non solo. Anch'io naturalmente ho grosse responsabilità, e me le assumo tutte. Ad esempio ho la grave responsabilità di non averti mandato a fare in culo quella volta in cui facesti sparire il cavo della tv (facendomi perdere metà finale di coppa del mondo..) per punirmi di quando, scherzando al semaforo con un lavavetri, ti indicai e dissi: "Mi spiace non ho spiccioli, prendi lei!..."
Ti scrivo per dare una tregua alla tua frenesia da menefreghismo latente. Leggendomi forse potrai finalmente capire che anche oltre te c'è vita. E poiché forse c'è vita persino su Marte, io inizierei a farmene una ragione: esiste un bel pezzo di mondo che dovresti iniziare a considerare, sono circa 5 miliardi e 999 milioni. Non dico che li devi rispettare, stimare, amare e ascoltare tutti contemporaneamente. Ma anche con un solo essere alla volta puoi toglierti belle soddisfazioni.
Ti scrivo per giustificarmi per quando sentirai la mia mancanza. Al bar al momento del conto; fuori la porta di casa quando vedrai i sacchetti dell'immondizia incapaci di gettarsi autonomamente; davanti al frigo vuoto; dietro al portabagagli dell'auto pieno di buste da portar su. Però so che vivrai con un pizzico di malinconia anche il ricordo di quel momento in cui, mentre ti spogliavi dagli abiti e dallo stress di giornata prima di andare a letto, io venivo a poggiare le mie labbra sul tuo collo e tu rilassavi la testa all'indietro, fermandola sulla mia spalla. Poi restavi così per il tempo di un lungo sospiro, e di un pensiero sommesso: "..ora va meglio.."
Ti scrivo perché sono alla stazione di Orte e il treno che sto aspettando è in ritardo. Eccolo, è arrivato. Cerco un posto libero e mi sistemo. Quindi rilascio anch'io la testa all'indietro, sul poggiatesta del sedile. "Ora va meglio", penso. Si parte.


lunedì 20 dicembre 2010

Gocce di poesia - Atto IV



LA FACCIA BIANCA DELLA FECCIA



C’era una vecchia strega dai vecchi capelli,
che restava in piedi e non parlava,
e, se lo faceva, soltanto voleva gridare alla terra che in fondo l’amava.
C’era una vecchia strega dagli occhi richiusi,
che a sentire il mondo si esercitava,
e i tanti timori, che prima vedeva, così li ignorava e li esorcizzava.
C’era una vecchia strega dai tristi sorrisi,
che più dell’amaro non sopportava,
e quando la gente la prendeva a calci, e il sangue colava, lei sghignazzava.
C’era una vecchia strega dai poveri stracci,
che destava pena per come vestiva,
e cosa importava se aveva qualcosa da dire, d’avere, o di dare chiedeva.
C’era una vecchia strega dai luoghi comuni,
che non s’abbassava a chi la circondava,
e già immaginava che, a volerla morta, era chi poi dell’odio si scandalizzava.

martedì 14 dicembre 2010

Se la violenza è un'esigenza


Le immagini riprese da un obiettivo costituiscono la più autorevole e consapevole delle limitazioni a cui siamo soggetti come esseri pensanti.
In un quadrato privo di profondità è disegnata una scena a cui dobbiamo necessariamente far riferimento per conoscere cosa sta succedendo in un determinato luogo. E' il fumo è fumo, la polvere è polvere, i vetri infranti sono vetri infranti, le mazze sono mazze, i caschi sono caschi, le bottiglie rotte sono bottiglie rotte. Tutto è come sembra che sia.
Invece no, o quantomeno non del tutto: mancano le emozioni, manca la riflessione, manca il sentimento. Manca la vita.

Se le immagini di un obiettivo fossero la sola testimonianza accettata, il mondo non avrebbe motivo d'essere vissuto e capito. Poiché basterebbero quelle immagini a dire chi sono i buoni e i cattivi, cos'è giusto e cos'è sbagliato, cos'è il bene e cos'è il male.
D'altronde se si lancia una bottiglia rotta, se si tenta di colpire le forze dell'ordine, se si accendono fumogeni e bombe carta, come si pretende di non realizzare immediatamente da che parte non sta la ragione? E' chiaro che non sta dalla parte di chi rompe.
Oltre al rischio dell'incolumità pubblica, vige il principio che chi rompe arreca danno all'intera comunità. Non si discute. Bidoni dell'immondizia dati alle fiamme, vetrine infrante, sampietrini divelti: è tutta roba che poi dobbiamo ripagare noi cittadini. E chissà quanto ci costa il tutto ogni volta. Ma il punto è che non si fa. La violenza è male, e basta.

Un parlamentare cambia fazione politica rispetto allo schieramento che lo ha eletto, e lo dice pubblicamente alla stampa motivando la scelta con poco nobili, ma concrete esigenze economiche. La "Realpolitik" di oggi.
Il proprietario di un'azienda che ha truffato i suoi risparmiatori e lo Stato per milioni e milioni di euro appare in aula in giacca e cravatta, durante il processo, con una sobrietà tale che nessuno si lascerebbe andare a commenti violenti e sprezzanti su un vecchio che attende pacato il suo verdetto di colpevolezza per essersi macchiato di reati tanto gravi.
In parlamento poco onorevoli deputati vengono alle mani, sghignazzano, si prendono in giro biecamente, straparlano lasciando per strada errori e ignoranza, esultano con tifo da stadio, vincono e perdono continuamente sulle spalle nostre da quasi vent'anni. E' al microfono tutti fanno tutto sempre e solo "per il bene del paese". E' evidente che la dignità non vale più a certi livelli.

Nulla è rotto, spaccato o divelto. Eppure sento di esser soggiogato da un padrone che è, e sarà, sempre più potente di me; glielo leggo negli occhi che si diverte a scherzare con il potere che detiene; vedo nelle sue manifestazioni formali e nei suoi riti da farsa la rappresentazione di una continua umiliazione ai miei danni. Di continuo la mia coscienza viene brutalmente stuprata dalla normalizzazione dell'immoralità e dell'ingiustizia.
Allora guardo le immagini dei passamontagna, dei caschi, delle sciarpe che coprono i visi di giovani che, più o meno consapevolmente, danno sfogo a un malessere indotto dalla violenza quotidianamente esercitata sul popolo spettatore pagante. E non provo sbigottimento. Non mi scandalizza la rabbia. Non resto sorpreso da alcun fotogramma di questa guerriglia, neanche da quello di un poliziotto che resta a terra dolorante. Anzi finisce che mi pare tutto logico e dovuto. Quasi naturale.


Da che il mondo è mondo alla violenza si risponde sempre con la violenza.

giovedì 2 dicembre 2010

IL TEMPO DELLE CILIEGIE - Capitolo II (parte 2a)

 - SEDOTTA E ABBANDONATA -
parte seconda
(qui la prima parte)



Mentre Apollonio beve, ride e chiacchiera amabilmente, Lepido è perso nel divano di casa a soffrire per un dannato mal di denti.
Dannato in quanto opera del demonio, essendo convinzione comune che siano opera demoniaca tutti i mali subiti dall’uomo. O forse dannato perché la casa del demonio è la casa dei dolori, la casa degli esseri trapassati che non soffrono le pene dell’animo bensì quelle del corpo: mal di denti; continue emicrania; distorsioni multiple alle caviglie; chi tossisce come farebbe Fausto Leali se ingoiasse un amplificatore; orecchie che fischiano come se dentro vi si fosse insediato il buon vecchio Trapattoni; una sorta di post-vecchiaia insomma. Grandezze dell’uomo: non sa cosa si cela dopo la morte, se qualcosa si cela, ma in compenso ha avuto già la prontezza di attribuire all’inferno questo presunto status di casa di cura per malati terminali. Miracoli della metafisica.
Ma dicevamo di Lepido. E’ a casa sua con la bocca stretta a mugugnare un malessere che farebbe soffrire persino Chuck Norris, figuratevi quindi una persona normale con una soglia del dolore bassa quanto la dignità di Dell’Utri.
Steso sul divano, Lepo tenta di intrattenere il suo sistema nervoso con uno sfrenato zapping televisivo: dieci secondi per canale, non di più. Ma il veloce giro di giostra tra le trappole del piccolo schermo riesce a fare più danni del previsto. Ad ogni stazione la sofferenza aumenta invece che diminuire, come nella via crucis.
Rai 1, “Porta a porta”: una scarica elettrica parte del dente e pervade le gengive.
Rai 2, un telefilm tedesco con attori rubati alle soap opera del Liechtenstein e un regista che sicuramente sarà morto suicida poco dopo aver visto il suo lavoro: “ma vaffanculo!..” sillaba sommessamente Lepo, mentre si accorge che la corda del dolore sta unendo pericolosamente i denti al cervello, per preparare un golpe d’altri tempi.
Rai 3, approfondimento giornalistico con “Linea notte”, La Russa che sbraita, Cirino Pomicino che lo bacchetta, colpe e meriti ancora da attribuire dopo vent’anni di governi vari: “morite!”, sussurra Lepo, con le tempie che vibrano come percussioni.
A Rete 4 dei porci parlano di Avetrana e Sarah Scazzi, a Canale 5 c’è “Matrix” e il cinepanettone, a Italia 1 un poliziotto che tenta di risolvere un omicidio dopo aver indagato anche nel buco del culo della vittima, a La 7 c’è La 7: “MA CHE SCHIFO, BASTAAA!!!...”. Lepo si vendica e con le poche forze rimaste lancia il telecomando contro il muro, poi si alza e calcia il televisore, che si abbatte sul lato destro e non si rompe solo perché è abbastanza vecchio da resistere a certi traumi. Pochi istanti di libidine da sfogo e si dimentica pure per un momento del dolore maledetto. E’ arrivato il momento di cercare Apollonio. Lepo gli manda un sms: “Fra un po’ spacco tutto, ho già iniziato con la tv. Vieni e porta un film di Lino Banfi. Mi servono risate stupide e qualcuno che mi faccia da tata!...Grazie.”
Apollonio è sempre con Camilla. Sono ormai due ore che parlano. Ma questo loro non lo sanno, dovete fidarvi della mia parola. Perché per loro il tempo si è volatilizzato, scacciato da quella manifestazione straordinaria della realtà che è la serenità. Sanno soltanto di essere uno di fronte all’altra, e non gli dispiace. Ma l’arrivo di quell’sms è una secchiata di acqua fredda su un corpo nudo addormentatosi al sole.
Cosa c’è?”, chiede Camilla.
Niente, niente...”, risponde distratto Apo.
Ma lo capirebbe pure Calderoli che sta mentendo. Gli occhi non fissano più dritti il volto di Camilla, restando invece ancorati all’asfalto grigio, che racconta meglio di ogni altra cosa quanto può essere monotona la realtà che ognuno si sceglie. Allora prende vigore e spara: “Mi spiace Camilla, ti devo lasciare. Ho un amico che non sta bene..
Neanche termina il suono dell’ultima sillaba delle parole di Apo, che già Camilla ci si fionda dentro con le sue: “Ma che ha il tuo amico? Sta morendo? No perché se non è in fin di vita, allora sappi che sei un coglione!
Apo vorrebbe dire tante cose, ma ha paura di sprecare tempo per non essere compreso. Vorrebbe dire a Camilla che un giorno sarà lui ad aver bisogno di sostegno, e quel giorno Lepido ci sarà sicuramente; ma se anche così non fosse, lui ora ha questa certezza e vuole coltivarla fino in fondo. Vorrebbe dire a Camilla che dopo quel messaggio lui non sarebbe stato più lo stesso di prima, e forse è meglio che si faccia da parte e lasci di sé un ricordo buono, rovinato solo un po’ al margine. Vorrebbe dire a Camilla che non si può stare davvero bene se le persone a cui tieni non stanno bene. Vorrebbe dire tanto, ma dalla bocca gli spunta solo un modesto: “Peccato..
Però Camilla certe cose pare comprenderle lo stesso. Forse si leggono negli occhi di Apollonio, nei suoi gesti sinceramente rassegnati, nella plateale distanza tra l’Apollonio che stava facendo di tutto per conquistarla e l’omonimo tizio che un paio d’ore più tardi decideva improvvisamente di interrompere il loro idillio. Allora le viene un sorriso istintivo, da’ un ultimo sorso al bicchiere prima di buttarlo, e poggia la mano sinistra sulla guancia di Apollonio: “Vai a sostenere un amico che non c’è, e lasci una ragazza che oramai ci stava..
Apo non la fa continuare a parlare: “A voler capire troppo si perde il senso della realtà, cara, ed io temo soprattutto il giorno in cui non saprò cosa fare. Il resto dipende dalla sorte, se vorrà ci ritroveremo.

Quindi le diede un bacio poco sotto lo zigomo, si voltò per avviarsi alla macchina e la lasciò lì da sola, sedotta e abbandonata. Come questa storia.