sabato 6 dicembre 2014

Più breve è il respiro, più lungo è l'urlo

05 dicembre 2014

Un urlo. Ho visto la luna, e ho urlato.

Prima ho visto Luana. Alla seconda o terza volta allo stadio a Foggia, lei è salentina, cosa ci facesse nella nostra Curva Nord lo sanno solo lei e il suo ragazzo, foggiano. Anzi, malato. Del Foggia. Non l'ho guardata proprio, l'ho piuttosto usata come scudo: se resti in piedi, vuol dire che non è successo un cazzo.
Prima ancora ho visto Luigi. Che aveva urlato: "Se segnano, mi getto di sotto". Non l'ho mica preso sul serio, ho solamente sperato di ritrovarlo venti metri giù qualche secondo dopo.

Non è successo niente, ed è successo tutto. Cosa vuoi che sia un gol? Prova a toccarmi la braccia e il petto adesso: sono le 3, sono passate quattro ore da quando ho lasciato lo stadio, e tremo. Tremo, sì, i brividi sono comparsate irruenti sui muscoli, gli arti stanno al loro posto per dovere di normalità, ma se potessero, partirebbero.
Sto resistendo, ogni minuto sarebbe buono per urlare il mio godimento, ma resisto. Ho camminato solo per via Arpi, indugiando gli sguardi nelle vetrine vuote e nere, o sotto i lampioni arancioni; ho fissato il pavimento bucherellato e bagnato; ho finto di salutare persone note; e tutto per non urlare, per non divaricare le braccia al cielo e invocare pietà per la mia anima di tifoso meritatamente felice.

Cazzo, quella palla! È entrata lì dove doveva, non un centimetro di più non un di meno. Vista dalla prospettiva del tiratore e del portiere è stata una perla, vista dalla parte del settore è stata una feroce istigazione al delirio.
Immaginate una camera di fogli, sparsi dal vento prepotente soffiato da una finestra spalancata: ecco la curva, subito dopo il rumore sordo della rete, accompagnato solo dall'eco dell'esultanza che aggira la circonferenza degli spalti per aggregarsi alla tua voce. Istericamente entusiasta. Liberata come si libera una scoreggia in campagna, o uno sputo nell'universo.


Impazzire, letteralmente, dall'entusiasmo. Essere sopraffatti dalla verità dell'istinto, spesso scomoda, oggi ineffabile. Un'esplosione devastante. GOOOOOLLLLL!!! Dov'è il Diavolo? Dove sono i santi inquisitori? Dov'è il dolore? Dov'è la tristezza? Tutto in una palla, la multa del nostro desiderio mai appagato è stata strappata. È cancellata.
L'arco disegnato idealmente supera la barriera ed entra nell'angolo, la sincerità del cronometro dice 90esimo, le maglie rossonere sono sparite ad esultare, io sto facendo l'amore con la gravità, ho i piedi per terra e la testa sulle nuvole: Foggia-Lecce 1-0.

Riacquistare la calma è una concessione al senso di realtà, faticosa, forzata, bugiarda. Quanto manca? Non lo so, invento "5 minuti" che si moltiplicano in maniera asfissiante, quasi offensiva. Tanto che in un diametro di questo spazio infinito, un paio di lontane e felici sagome rossonere infilano l'azione del 2-0.
Come? Quando? Perché? Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo bene?!... Vorrei chiamare, vorrei chiedere, vorrei spiegare, vorrei amare. Sono pure ubriaco, ma non so più se c'entra l'alcool, io ho perso la testa.
Di fronte ci sono quelli forti, ormai campionati luce distanti di noi, nel primo tempo potevano fare tre gol, con un solo giocatore venuto dalla Serie A, Moscardelli. Ora sono come arresi all'evidenza, che dice li stiamo battendo.
Anzi, li abbiamo battuti. Abbiamo vinto. E mi pare quanto di meglio sia mai successo, anche se non so se nella mia storia di uomo o di tifoso rossonero. Perché spesso, infatti, sono la stessa cosa.

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