giovedì 11 ottobre 2012

La coscienza sul posto


La coscienza entra in camera, mi sorride.
Annuncia che tra un po' andrà via, ma intanto che c'è si ferma a dirmi un paio di cosette che ritiene indispensabili.
Perché lei, la coscienza, ha molta stima di sé. Ed è convinta di essere un punto fermo, nella vita sua e degli altri. Che poi voi l'avete mai visto un punto mobile? Io no.
Così, pur senza darle mai la mia scadente attenzione, la ascolto. E lei lo sa.
Mi tiene sulle corde all'inizio, dice che forse non è il momento adatto per fare certi discorsi, che probabilmente non sono maturo, che in fin dei conti è meglio rimandare.
"Ma ormai sei entrata!", mi incazzo io, traboccando impazienza di nervi e pensieri.
Odio questo suo modo di fare, perenne come una liturgia, insindacabile come un iter burocratico. E poi quell'abuso di avverbi e di modi di dire pratici e sconnessi mi logora, fino quasi all'insolenza: che cazzo vuol dire "in fin dei conti"? Quali conti? Chi li ha stabiliti? Chi li ha fatti? Chi giudica se sono giusti o meno? Ma soprattutto, come cazzo ti permetti a fare dei conti su di me, sulla mia vita, sulle mie ore notturne che spesso si perdono nella confusione dei tuoi discorsi?
Come stasera. Ho già perso il filo della discussione prima ancora di sapere se ne fosse mai esistito uno. E lei, la coscienza, prende a canticchiare quella canzone sul sole che si è spento, "e chi l'ha spento sei tu".
Avete presente quando pensate di essere chiamati in causa anche se nessuno ha mai fatto il vostro nome? Ecco, a quel punto ho iniziato a balbettare rabbia, come tirato in ballo da un testimone falso in un processo dove sono parte lesa.
"Non posso credere a quello che stai dicendo!", le sparo, e mi gonfio gli occhi del sangue più acido che abbia mai pompato nelle vene: "Tu non sai nulla di me, non mi appartieni! Sei soltanto l'escamotage inventato in qualche tempo invecchiato per farci credere d'essere meno soli."
"E anche se fosse così?!", mi contesta lei.
"Se fosse così, e tu non potevi non saperne nulla, allora stavolta con me hai davvero chiuso! Niente più attese, niente più silenziosi pranzi passati a riflettere, niente più nottate a scontrarci per rivendicare di pensarla uguale, in fin dei conti... Niente più consigli, scordati i miei dubbi!"
"E tu credi che basti non dividere più il tempo assieme per cambiare idea?"
"Ma idea su che?"
"Su di te, e quindi su di me. Siamo diversi, è vero, ma è per questo che nell'apparente esilio della tua stanza segui i miei movimenti, passi dopo passo: perché mi carico di tutti i pensieri pesanti che non vuoi."
"E allora, ne sarei invidioso?"
"Forse no, ma muori dalla curiosità di sapere come te la saresti cavata con le mie idee", mi fredda lei.
"Non ci credo", le rispondo secco.
"Allora lasciami andare! Lo sappiamo entrambi che puoi fare a meno di me, perché continui a cercarmi con lo sguardo?"
"Perché è con lo sguardo che si cerca chi sta andando via. E tu non sei più qui da una vita."
"L'hai capito quindi?! Bene, volevo che lo sapessi..": la coscienza iniziò a sparire progressivamente alla vista.
In fin dei conti avevo ragione. Non era lei il punto fermo: ero io che stavo correndo sul posto.