lunedì 1 settembre 2014

L'alfabeto dell'estate 2014: B come "ballare"



Ballare - Vi sono varie forme per definire la parola ballo: si va da "malore per rigetto di stasi", a "incapacità non motoria", per finire a "inarrestabile dissenteria di gesti".
D'estate si balla. Lo chiede il sole, lo desidera il mare, lo pretende la noia. E non è più soltanto il lato pop della musica commerciale ad aver appaltato l'ex bella stagione al verbo della danza (anzi, il binomio ha accusato negli ultimi anni una serie di colpi a vuoti dovuti al fatto che oggi la produzione è tutta pensata per scatenarsi e muoversi, e che probabilmente, fosse stato nostro contemporaneo, si sarebbero ballate pure le canzoni di De Gregori). Tutto, infatti, è ormai ballato.
Lo è quella banda funk moderna che marcia simpatica e colorata con gli strumenti per la strada durante la festa di paese, muovendosi naturalmente a ritmo, negandoti così pure la possibilità di centrarne dalla finestra uno o più elementi a colpi di fionda.
Lo è la palestra, dove, dall'aerobica allo step, non una chiappa sudata si muove senza essere accompagnata da qualche compilation con almeno un pezzo di Pitbull nonché l'immancabile versione dance della colonna sonora di Titanic (anche in spiaggia, ai soliti e quasi mitologici balli di gruppo, si è ormai affiancata stabilmente la ginnastica tonica con caviglie che si trascinano appesantite a suon di remix di The sound of silence).

Quindi c'è la sera, il relax: ballato pure quello.
Nella pista allestita dietro l'unico bar del villaggio, che pare a tutti gli effetti un parcheggio per vecchi, si sistemano prostate e dentiere impegnate in giravolte infinite misurate dalla ripetizione costante dello stesso movimento, per qualsiasi brano, su qualsiasi nota: la mazurca, espressione rilassata del dinamismo immobile del regime comunista. Unica variante lecita: l' hully gully (ai più noto come "lalligalli"), la storica processione di passi che i miei occhi hanno visto applicata, nella stessa ora e sulla stessa superficie, a I Watussi di Vianello, a un ignoto pezzo latino-americano e ad una tristissima canzone del Celentano post-conversione grillina.
Quindi c'è la mesta celebrazione della mondanità giovanile ai più nota come: "andiamo a ballare?". E può essere tutto, e di solito è tutto, tranne che quel verbo: cocktail a 7 euro, file sudate dietro una cassa rallentata dalla scollatura della barista, esercizi di scaltrezza per il furto dei pochi posti a sedere liberi, ricerca di spiragli di buio in cui consumare quel tocco di fumo a cui si consegnano sempre troppe aspettative, discussioni politico-sportive urlate a causa della musica, deprimenti tentativi di abbordaggio o in alternativa defezioni per accoppiamento degne dei rapimenti dell'Anonima sequestri ("Hai visto Luca? - "Stava con una..." - "Sì ma sono passati quattro giorni"), e poi litigi, scazzottate e sonni profondi.
Prima di svegliarsi per vedere l'alba, e tornare a casa quando papà è pronto per andare a comprare il giornale: "È tardi. Sei andato a ballare ieri?" - "Si vede?..."



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