lunedì 28 marzo 2011

IL TEMPO DELLE CILIEGIE - Capitolo III


 - UNO SWING TRA INSONNIA E RICORDI -



Sono le 3 e mezza, e Apollonio non ha ancora capito da che parte del letto si dorme. Le ha provate tutte: fianco sinistro, destro, a pancia sotto, guardando il soffitto con le braccia piegate e le mani dietro la nuca. Ma niente, ancora nessun cenno di abbandono.
In questi casi allora è persino consigliabile dimenticarselo il sonno, e mettersi a far cose che con esso non hanno nulla a che fare: leggere, scrivere, cucinare, camminare, impegnarsi insomma in un’attività pratica che porti stanchezza e che magari faccia ingelosire il sonno stesso, così che pensi che possiate fare a meno di lui. Anche se entrambi sapete che non è così.
Ma la voglia di Apollonio di alzarsi dal letto in quel momento era ai minimi storici, come d’altronde lo era il giorno prima, e come lo sarebbe stata pure il giorno dopo e quello dopo ancora. Perché lui nelle notti d’inverno non ha mai messo un piede giù dal letto prima della sveglia, fatta eccezione per nascite o morti inattese. Ma quella sera non prevedeva eccezioni. La temperatura oltre il piumone non era delle più miti, come sempre a casa sua, e rovinare pure il caldo tepore del sottocoperta, in una notte già di per sé non facile, sarebbe stato un vero e proprio autolesionismo. E poi sfreddarsi i piedi è un po’ come rompere il vetro: si fa solo in caso di emergenza.
Allora Apo optò per l’unica via percorribile: iniziò a fantasticare. Era il solo svago che potesse tollerare in quel momento; la sola attività che, oltre a farlo sprofondare lentamente verso l’oblio del cuscino, gli permetteva di lasciare la notte con una, tanto sottile quanto infondata, sensazione di leggerezza. Sensazione frutto di quell’illudersi in maniera consapevole: costruire e ricostruire se stessi e ciò che si ha attorno, e immaginare un futuro che forse non vedrà mai la luce. O magari si. Basarsi insomma su una sorta di “legge di Murphy” pensata a rovescio: tra tante cose belle che potrebbero accadere, ce n’è almeno una che sicuramente si verificherà.

..Come sicuramente quel tavolo era pieno di boccali di birra scolati fino all’ultima goccia. Lo vedeva bene Apollonio dal suo divanetto. Come vedeva altrettanto bene che lo spazio attorno a sé non era più diviso con confini netti e decisi, bensì era costruito da contorni che si abbracciavano, che chiacchieravano, che si divertivano a scambiarsi idee e punti di vista. Forse era ubriaco, o forse quelle linee di contorno dei vari oggetti davvero avevano preso a fare amicizia.
L’amicizia. Quella che Apollonio vedeva bene dalla sua posizione privilegiata: sdraiato su di un divanetto posto in un angolo da cui era ben visibile tutto il resto del locale. Da lì vedeva i suoi amici, tanti, che parlavano in allegria e ridevano, e mandavano giù un sorso di qualcosa di alcolico; e poi ecco nuove chiacchiere, un’altra risata, e via con un altro sorso. Gente che si ascoltava, che pareva interessata agli altri, che aveva voglia di dare il suo contributo affinché tutti raggiungessero la soglia minima di serenità e spensieratezza.
Era amicizia, non si poteva chiamare altrimenti. Al bando i maledetti pregiudizi e tutte quelle cazzate sull’amico vero che si sente nel momento del bisogno. Cazzate! Quelli davanti ad Apo erano tutti amici; gente che si frequentava raramente, ma che nonostante ciò insieme sapeva starci. Anche grazie a qualche sorso d’alcool, vero. E ciò rendeva tutto ancora più bello e imprevedibile.
Restava nella testa di Apollonio, tra i flussi di pensieri straordinari creati dall’ascesa verso l’alto della birra, l’idea di una bella serata. Confermata persino da Lepido che, staccandosi da un gruppetto a cui stava imponendo le sue solite convinzioni, si avvicinò verso Apo e gli disse: “Tu, che sei ubriaco e fai finta di riflettere, sappi che domani potrei cacarti il cazzo in maniera ossessiva. E’ una questione matematica: oggi ho passato una serata tranquilla, e domani sarà una giornata di merda. Tutto normale, volevo solo avvisarti.
Apo sorrise e rispose: “Tanto domani non ti alzerai molto presto...anzi, vai e continua a bere, vai. Se ti fermi adesso domani invece che in coma rischio di vederti muto e irritato, con uno di quei mal di testa che ti fanno essere più asociale di quanto già non sai essere di tuo..
Apollonio tornava a essere solo. Il mondo per un attimo diventava una bella cosa. Tutto appariva in armonia. Gli occhi avrebbero voluto quasi chiudersi su quel divanetto dove sembrava più vicina del solito l’idea di eternità. Niente contrasti, solo fiumi di birra e risate. Sembrava si fosse fermato il tempo sul mondo vuoto di una generazione, quella di Apollonio, che col vuoto ormai ha imparato a conviverci.
Come in un dipinto ogni cosa era al suo posto. Anche l’ambiente con le solite mura gialle, il solito pavimento marrone, i soliti quadri appesi alle pareti, i poster, le fotografie con Apo e o suoi amici. E poi i gestori del locale, i boccali e la birra rigorosamente con la schiuma, anch’essi sempre al solito posto. Tante parti che diventano un tutto e creano un contesto di irresponsabile normalità.
Perché anche una birreria può aiutare a vivere meglio..

A questo pensò Apollonio prima di addormentarsi quella notte. A una birreria. Forse proprio quella birreria che l’indomani, al suo risveglio, avrebbe ritrovato chiusa per sempre dopo sette anni di vita, svariati litri di birra e un’infinità di risate.
E insieme alla birreria, e alle sue storie, sparì pure quella notte.  Quell’ennesimo swing di insonnia e ricordi.



domenica 13 marzo 2011

Il giorno che dio venne a bussarmi

Non ricordo precisamente che giorno fosse. Un giorno qualunque, come capirete. Suona il citofono. Come al solito non mi precipito a rispondere, anche perché il citofono è posto su in alto, non avrebbe senso precipitare. Poi rispondo:

 - Chi è?
 - Buongiorno, c'è Apollonio?
 - Si, ma chi è?
 - Sarei dio.
 - Beh è una bella responsabilità, non trova?
 - Glielo giuro, non sto scherzando. Sono dio!
 - Impossibile: lei ha giurato! Fino a otto anni tutti si sono impegnati a farmi due coglioni, e scusi la parola, due coglioni dicevo grandi come due televisori al plasma con la storia che dio non voleva che giurassi. Era sempre un "non si giura!", e io chiedevo come regolarmi di conseguenza, e loro non mi rispondevano, ed io a otto anni ancora non sapevo l'esistenza del verbo "garantire", altrimenti avrei mandato a fanculo a tutti. E scusi il fanculo.
 - Lei è un po' scurrile, ma fa niente, non è questo il problema.
 - Perché, c'è un problema? Lei è qui per un problema? Ma è dio o è il tecnico della caldaia? No perché sa un tecnico della caldaia qui farebbe davvero comodo. Non si offenda eh.
 - Non mi offendo, non mi offendo. Quella roba sul non giurare mi è nuova sinceramente, e comunque le ripeto per l'ultima volta, lei voglia credermi o meno, che sono dio in carne e ossa.
 - Cazzo lo sapevo che all'ultima riunione di condominio dovevo votare per il video citofono!...Sa adesso come mi sarei divertito...Senta dio, lei vuole salire, immagino?
 - Se proprio devo..
 - Come sarebbe a dire "se proprio devo"?! Cos'è, dovrei scendere io solo perché si è presentato al mio citofono come dio? E magari devo pure far presto perché ha messo la macchina in doppia fila? Le porto anche un caffè, che dice?..
 - Ma si vuole calmare, per dio!
 - Ah lei si può nominare invano?
 - E vuol vedere che ora non mi posso neanche autocitare! Si calmi per favore, le ho chiesto se fosse davvero necessario che salissi solo perché so che poi avrebbe dei problemi davanti alla sua scelta di vedere o no dal vivo dio in persona.
 - Ah perché lei è vivo?
 - Perché lei parla con i morti? Allora qui il pazzo non sono io forse..
 - Ok basta così, sennò mi esaurisco. Salga da me, sono al secondo piano, segua la scala del corridoio lungo.
 - Si si lo so..
 - Ah già lei sa tutto, lo dimenticavo. L'unica cosa che non sa è che io non è che creda proprio in dio, in lei insomma, quindi è un po' come se un astemio volesse salire a casa del signor Molinari: cosa cazzo ci va a fare, a vedere se una goccia d'acqua evapora prima di una goccia di sambuca?!
 - Infatti è per questo che sono venuto.
 - Per redimermi? No no, per l'amor di dio, che poi è il suo. Cioè si è scomodato davvero per me? Sarebbe un insulto alla sua intelligenza!
 - Ma cosa ne sa lei? Insulto, intelligenza, sambuca, quanti paroloni sprecati. Io sono dio e so quel che faccio. Ed ora salgo e glielo dimostro.

.        .        .
Si, dio stava salendo a casa mia. Avete capito bene. Penserete sia un folle, e come non darvi ragione. In quel minuto trascorso dall'ultima parola udita al citofono fino alla prima bussata al campanello, si perché dio ci impiegò quasi un minuto per un tragitto che tutti percorrono in venti secondi massimo, io non feci nulla. Non sistemai nulla in casa, dando ragione a chi da giovane mi diceva "a te non ti smuove manco il padreterno", e aspettai muto con le spalle poggiate alla porta. Suona il campanello. Poi toc-toc una prima, una seconda e una terza volta:

 - Apollonio ci sei?
 - Ehm, dio sei tu? Cioè è lei?
 - Si sono io, ma dammi pure del tu.
 - No no, meglio non scherzare su queste cose..
 - Queste cose? E quali sarebbero queste cose? Non starai mica gettandoti tra le fila di quelli che credono in un solo dio onnipotente?
 - Guardi lei sarà pure dio, ma è davvero poco simpatico. Io non è che non credo in dio. Io non credo in lei come rappresentante di tutto l'universo. Niente di meno!? Che esagerazione! Avesse detto il Molise, l'Estonia, il Galles, ma questa è troppo grossa!
 - Quindi lei non crede in me?
 - NO.
 - E se mi vedesse? Magari si convincerebbe.
 - Non scherziamo, lei qui non entra! Già non ho una grande nomea in giro, ci manca solo che qualcuno veda entrare dio in casa mia, con me padrone di casa cosciente!
 - Va bene ma mi guardi almeno dallo spioncino, così si può fare un'idea!
 - No, non la voglio guardare!
 - Sta perdendo una grande occasione, lo sa?
 - Si lo so, ma voglio restare nella mia mediocre inconsapevolezza. Voglio essere una persona normale coi suoi dubbi normali. E adesso la prego vada via!....

.        .        .
....E sentivo quel "via" rimbombare nelle mie orecchie, mischiato però ora ad altre parole, prima sommerse, poi piano piano più toniche: "Apollonio, caro, dai su svegliati, Apollonio!". E all'inizio non capivo, poi mi rendevo sempre più conto che era mia moglie: "Apollonio, svegliati caro. C'è la bambina che piange, dai falla riaddormentare che io non ne posso più.."
Così Apollonio si svegliò. Non c'era nessun citofono, nessuna porta da aprire, solo una bambina da far riaddormentare alle 4 di notte. Allora si alzò dal letto, e mentre infilava le ciabatte gli venne da sospirare: "Oh dio mio!.."
E in quel momento suonò il citofono, ma la moglie di Apollonio sembrò non accorgersene, quasi non lo sentì. Così toccò a lui alzare la cornetta del citofono:
 - Chi è?
 - Buongiorno, c'è Apollonio?
 - Si, ma chi è?
 - Sarei dio. Mi hai appena chiamato tu...