domenica 29 aprile 2012

Scambio generazionale primaverile



Il sole è alto. Il vociferare lento e rilassato, ma continuo, come un accompagnamento. Il fisico di decine di aspiranti corpi da spiaggia si sforza di reggere i ritmi assurdi di un pomeriggio caldo che sembra agosto. Soffro per loro. Sul serio. Sto aggiustando la mira delle mie parole sul foglio, quando si avvicina un bambino. Piccolo, proporzionato, un uomo mancato: "Sai dov'è la mia mamma?"

"Non lo so..ma non è con te?"
Il cosetto mi guarda strano, in attesa di una risposta, come se avesse fatto finta di non ascoltare quelle mie prime inutili parole. Io, in preda ad uno dei miei attacchi di lucida stupidaggine, gli do subito conferma di quanto la differenza tra grandi e piccoli sia una mera questione di dimensioni e noia. Tanta noia.
Lui mi guarda, s'impietosisce e ripete la domanda. dandomi una seconda, umana possibilità: "Dov'è mamma?". Non posso sbagliare, non posso deluderlo di nuovo: "La mamma è qui vicino. Stai qua che arriva subito!.."

Chissà cosa cazzo mi è preso, gli ho offerto la mia compagnia quasi fosse la cosa più normale del mondo. E se non volesse? Non sta mica cercando un altro padre, o un fratello o peggio ancora un amico. Allora provo a riprendermi subito, più che altro a lanciare lontano il mio senso di colpa: "C'è il tuo papà? Andiamo, ti riaccompagno da lui."
Il piccolo però si scioglie, all'improvviso, senza darmi il tempo di mascherare una maturità data sempre troppo per scontata: "Mi porti da mamma, per favore.."
Non potete capire come l'ha chiesto, né potrò mai spiegare o restituirvi la sua timida angoscia, così sincera, così calma. Intanto tutt'attorno gli altri passeggiano e corrono, alzano polvere, fanno scena. Il biondino con la mano destra si strofina gli occhi, la terra che si solleva da' fastidio anche a lui: le differenze tra noi si assottigliano sempre più.

"Mi spiace, non lo so dov'è..", gli dico con un cinismo che sa di resa. Ma allora è lui che chiede a me: "Tua mamma dov'è?"
"A casa."
"E perché non è con te?"
"Perché io vivo in un'altra casa."
"E chi ti fa vestire?"
Vorrei dirgli che so vestirmi da solo, poi mi guardo: non ho più voglia di inventarmi la realtà. Ma è lui ad interrompermi: "Eccola! Mi porti da mamma!". Guardo a destra, una signora vaga con uno zaino, e chiama "LUCA!?...LUCA!?...LUCA!?..."
Prendo per mano il bambino, o lui prende per mano me. Attraversiamo lo spazio verde, superiamo una fila di sassi con la stessa lentezza, prima la gamba sinistra, poi la destra. Uguali. Sembra un pezzo della mia matrioska. Un cane enorme avvicina a noi il suo brutto muso, tirandosi dietro una padroncina esile e con un bel culo. Sorridiamo, forse per motivi diversi, ma non importa.

Raggiungiamo la donna in cerca di Luca: "Ecco mamma!", dice il nanetto. Prende in mano un ramo di legno lungo mezzo metro, e si infila il suo zaino, tranquillo. La mamma lascia andare un sospiro che quasi la svuota. Mi guarda: "Non so davvero come ringraziarti!"
Nella mano destra ho ancora la penna e il mio quaderno, li metto nelle mani di Luca, sono il mio regalo per quando vorrà scrivere. Lui prende la bic, cerca uno spazio vuoto sul primo foglio, e scrive "Ciao".
Così mette fine alla mia storia, e ne inizia una nuova. La sua.


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