lunedì 7 maggio 2012

Sul fianco degli imputati



Giorgio mi guarda. Io intanto continuo a scrivere, batto le dita sulla tastiera come un dovere eterno, come è per l'uomo respirare, fingere e cacare.
Mi guarda e lascia passare malinconia come un fazzoletto infinito tirato dalla manica di un prestigiatore. E' un gioco perfetto, perché è serio. I giochi seri sono i migliori, si ripetono all'infinito, sempre con la stessa austera soddisfazione di finitezza.
Traccia un segno sulla polvere e si diverte a fare scritte che rileggerò tra un anno con la voglia di ricordarmi quanto fossero vere, o false, vicine o lontane. Un altro bel gioco: indovina il passato. Che strazio di esseri umani che siamo quando abusiamo delle nostre facoltà di intendere e di volere! Nati con la condanna al desiderio.
Ho saputo che i vizi possono durare anche una sola notte, meno di 5 o 6 ore, il tempo che cambi la luce e con essa la nostra forza. Giorgio mi ha tradito, ma è tornato subito a bruciare di umile amicizia. Con la stessa energia che di solito mette nell'aprire quei barattoli chiusi dalla mano di un'inquisizione mai morta.
Siamo figli del sonno come della consuetudine, la marea sbatte su di noi e noi, ottusi, cambiamo solo posizione. Poi guardiamo il cielo stellato come un portachiavi con cui aprire le serrature della follia di domani, scegliamo il lato su cui cadere che di solito è sempre il sinistro, e aspettiamo l'alba. Al freddo, al muto, al vero.
Oh se esistesse un sogno di meraviglia potrebbe essere solo quello di crescere fino a toccare il buio, stringerlo tra le mani e accartocciarlo, per riprendersi il giorno come una fotocopia mal riuscita.
Ma io non sono un braccio, né un gigante, non sono un sogno, né una bionda chiara: sono la ditta delle pulizie della mia testa. Sono lo spalaneve senza sale. Sono solo quello che Giorgio sta guardando mentre aspetta che io lo rimetta al suo posto.
Qui, alla destra dei miei appunti.



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