Ho 18 minuti per scrivere una serie di righe sensate, belle, interessanti e magari anche divertenti.
Per scrivere di quello che mi passa davanti agli occhi mentre sento di avere paura, e insieme freddo, con un pizzico di fame, ma senza avere la febbre.
E quando mi guardo le mani vedo che tremano, alla ricerca delle parole giuste. Come se esistessero.
Ho 17 minuti, e le parole perdono di senso davanti al tempo che mi sbatte davanti alla faccia due o tre albe di fila.
Io non trovo nulla di buono nei consigli, mi inchino alla loro inutilità. E' come usare il libretto d'istruzioni di un forno per il videoregistratore.
Ed è come usare il videoregistratore, che ormai esiste solo nell'anima. Se ce l'hai un'anima.
Ho 14 minuti, mi fa male la spalla, vorrei un massaggio di dolci polpastrelli nella carne. Ma non posso chiedere, né pretendere, né desiderare.
Così cerco, me l'ha detto l'universo che posso cercare. Ma se mi azzardo a cercare un senso, l'universo ha detto che mi soffoca con le sue mani fino a farmi perdere la perfezione di madre natura creatrice.
Ho 11 minuti e non voglio smettere di scrivere.
Come se potessi smettere, come se fossi libero di disintossicarmi dalle mie parole solo non scrivendole.
A quest'ora i colori parlano un'altra lingua, le orecchie ballano sulle note di una fisarmonica continua di sonno misto a tasti di lucida preoccupazione per la mattina di domani.
Non sto bene, ma se mi lamento sto peggio. Questo sono io, dottore mi dia una medicina che puzzi e sia indigesta così mi leccherò i baffi al prossimo pranzo.
Si dottore, stia tranquillo non abuso della sua pazienza, ma solo della mia profonda sensibilità.
Ho 3 minuti, non mi bastano. Sono un filo appeso in casa che vuole essere soffiato, per dondolare e per tornare alla fine sempre allo stesso posto.
E' tutto così dannatamente finto che mi sono innamorato di colpo, arreso in un mondo sgraziato.
Ho finito i minuti, ciao capo. Questo è il mio domani, ultimo dei giorni di ieri.
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