- SEDOTTA E ABBANDONATA -
(parte prima)
Succede una sera.
Succede che per Apollonio è un magnifico martedì sera, tiepido come una di quelle vecchie serate di fine agosto; che sono poi passate a rappresentare la settembrina presa di coscienza della fine dell’estate; e che negli ultimi anni si sono addirittura catapultate nel bel mezzo del mese di ottobre, prendendo a scalciar via l’autunno come neanche si farebbe col più ignobile mariuolo trovato in casa propria a rovistare tra l’argenteria. Cacciato come un ladro da casa sua: triste vicenda quella dell’autunno, ennesima vittima dello sciacallaggio; che è il vero fattore dominante di quest’epoca in cui, al primo segnale di debolezza dato, ci si ritrova ad essere assaliti e poi sbattuti su un marciapiede a leccarsi le ferite.
Ma dicevamo della serata di Apollonio. E’ sempre martedì, l’aria è sempre fantasticamente tiepida, e tutto attorno il mondo gira semplice e divertente, proprio come piace a lui. Girano cocktail, si ride, si pensa a non pensare, e in questo festival di maschere apparentemente rilassate Apollonio fa davvero la parte del leone. Ed il leone è l’unico che può tenere testa agli sciacalli, a meno che essi non siano davvero tanti e che il leone non sia davvero solo; quindi come vedete tutto torna.
Per questa gente Apollonio è una sorta di effetto placebo. Le sue sono punture di demenziale allegria che non servono a un cazzo, che non rilasciano nulla, se non un superfluo senso di temporanea eccitazione. E lui, Apo, sa di essere la finta cura a un ignoto malessere, sa che per gli altri esiste soprattutto in funzione di quel momento, ma non se ne preoccupa. Ognuno nel mondo dovrebbe avere un ruolo, e il suo è di divertire. Assistere quotidianamente alla fenomenologia della risata sui volti delle persone: occhi che si spalancano; zigomi che prendono vita; e labbra che iniziano a schiudersi proprio come l’arco che si appronta a scagliare la freccia. Così parte la risata, come una freccia. Perciò non si dovrebbe mai ridere ad altezza d’uomo; né davanti, né di dietro. Qualcuno potrebbe farsi male. Fatto sta che, dopo lo sforzo comico, è Apollonio a essere tranquillo. Veder montare il sorriso sul viso altrui è il suo effetto placebo. “Sono ancora vivo”, pensa.
E quella serata? Continuo a metterla da parte e a riprenderla, a mio piacimento, senza alcun riguardo, come si fa con quelle persone che si crede di possedere e di cui si sfrutta cinicamente la vicinanza. Forse non lo faccio di proposito, ma lo faccio. E tanto basta per capire che sto sbagliando, e che volontarietà e involontarietà sono soprattutto accessori buoni su cui fare affidamento al momento della condanna. Ma non prima. Prima c’è che ho sbagliato. Punto.
Allora torniamo alla serata, al divertimento, e ad Apollonio che ha un altro motivo per stare bene. Questo motivo si chiama Camilla: capelli neri, equamente divisi ai due lati della faccia, che scendono fino alla fine del collo; zigomi corposi, ma eleganti; labbra sottili; e un metro e ottantacinque centimetri di vitalità distribuiti su un fisico che si può definire giusto. Carina questa Camilla, e anche simpatica. Spensierata. Ad Apo piace tanto. Quella sera decide che è proprio giunto il momento di provare a conoscerla meglio, qualsiasi siano le coniugazioni possibili di questo verbo. I due bevono insieme, chiacchierano, scherzano con tutte quelle cazzate primarie che sono gli unici tram che possono portare due conoscenti, semi-sconosciuti, dalla periferia dei rapporti di circostanza al centro di una relazione più importante. Un percorso obbligato, insomma. A meno che i due non siano Charlize Theron e Johnny Depp.
Infatti non sono loro, ma soltanto due stronzi qualunque che hanno deciso di giocare a scambiarsi delle sensazioni. E poiché si parte solo quando in macchina ci sono tutti, in questi casi iniziare vuol dire fare già metà del viaggio; l’altra metà poi servirà a capire dove si può arrivare. Ma da qualche parte sicuro si arriva.
Sempre però che non sorgano intoppi inaspettati. E dov’è Lepido?...
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