mercoledì 7 gennaio 2015

Prima di Pino Daniele, dopo di Pino Daniele

Allerìa.

Una parola, e una sola canzone. Da ascoltare ripetutamente, fino alla nausea, ché tanto so non arriverà mai.
Non mi serve altro. Nessun album, nessuna playlist o raccolta speciale. Pensa il paradosso, Pino: mi basta Allerìa per salutarti. Per dire, un'ultima volta e per sempre, quanto sei stato per me. Perché se ogni essere umano ha un artista, un monumento, un'immagine, un titolo, una melodia a cui corrispondono le corde più profonde della propria esistenza, tu le mie le hai suonate e cantate tutte.

Io avevo otto anni e tu, Pino, praticamente non esistevi. O quasi. A scuola mi capitava di sentire qualche compagno di classe canticchiare "Oggi è sabato, e domani non si va a scuola..": che bella filastrocca, pensavo. Poi, spiando come tutti i mocciosi le mosse di un cugino più grande, tuo grande fan e tuo omonimo, capitai al nostro primo vero incontro: una cassetta con su registrato Bonne Soirée. Lo schifai. Era roba vecchia, e tu intanto diventavi brutalmente commerciale nel tuo nuovo universo, fatto di Che male c’è e Dubbi non ho, di Jovanotti e Giorgia, roba che a pensarci adesso...

Così ti trovai, così m'appassionai alla tua voce tirata, a quella parlata spiccia che mi si piantava nelle orecchie all'istante, e non usciva più di testa.
Allora iniziai a scavare, sempre più indietro, canzone dopo canzone, nella tua sterminata produzione. E lì fu la sorpresa, quella di non riuscire a smettere; e poi fu la meraviglia, di scoprirti uno che aveva cantato quel che avrei voluto cantare io, come avrei voluto dirlo io: "E saglie 'a voglia d'allucca' / ca nun c'azzicche niente tu / vulive sulamente da' / l'alleria se ne va…". Cosa altro è, se non questo, la corrispondenza?

"Passa 'o tiempo e che fa / se la mia voce cambierà". Salgono ora ricordi confusi, strappati come il nastro tirato via con la penna da quelle cassette consumate nello stereo.
La maledizione dei best of, che aggrovigliano i fili del tempo e cancellano la storia di un uomo e della sua musica. Gli amici di mia sorella che suonano Quanno chiove, ed io che assisto, segretamente incantato dall'idea che un pezzo in napoletano possa piacermi così tanto.
Un pomeriggio dai nonni, la tv su Canale 5, c'è quel comico sfiorato di Fiorello che canta Napule è: la brutale magia di quelle parole m'ipnotizzò al punto da pensare si trattasse di una canzone della tradizione partenopea. Uno di quei "grandi classici", come si dice, insomma niente a che vedere con la prosa pop di Se mi vuoiche nel frattempo intonavi con Irene Grandi.


Invece eri tu, Pino: "e non ti aspetti niente / perché lo sai / che passa 'o tiempo / ma tu non cresci mai". Una scossa, il tasto premuto su un interruttore che accende una passione: quanta bellezza nei dettagli, nei minimi particolari. Quanti album masticati con mio cugino Andrea, più piccolo di me: a lui piaceva il ritmo, a me tutto.
Più correvo alle spalle del tempo, più mi nutrivo di ogni briciola dei tuoi lavori, rintracciando i rimasugli col dito a scavare nel recipiente delle tue opere meno conosciute, e più mi vedevo trascinare su un'isola in cui ero da solo con le tue note e i tuoi versi.
Allerìa, appunto: "Voglio 'o sole pe' m'asciutta' / voglio n'ora pe' m'arricurdà".

Quante volte ho asciugato le mie paure ascoltandoti e riascoltandoti. Quante volte ho chiuso nel tuo bagaglio di pensieri e sogni in musica la mia tristezza. Quante volte ho rinnegato di esser stato dato alla luce abbastanza in ritardo da non aver potuto vivere dal vivo la travolgente superiorità. La superiorità di un universo relativamente soggettivo di meraviglie con cui sembravi parlare solo a me.
Che onore, Pino, e che rivoluzione! In me, e con me. La tranquillità di star male, come può star male un ragazzino che non sa mai cosa fare, sapendo poi di potermi perdere nelle tue incisioni: "pe' nu mumento / te vuo' scorda' / che hai bisogno d'alleria / quant haje sufferto / 'o ssape sulo Dio."

Non ho mai obbligato nessuno ad ascoltarti, Pino. Ma, potendo, ho aiutato gli altri a conoscerti. Lo dovevo a te, e a loro. Non potevano non sapere di Viento 'e terra, di Cammina cammina, di Chi tene 'o mare, di Notte che se ne va, di A testa in giù, di Femmena, di Bella 'mbriana, di I got the blues, di Vita mia, di Io vivo come te, di Aria strana, di Schizzechea, di Che ore so', di Anna verrà.
L'ho fatto, cazzo, ho fatto la playlist. Però non posso racchiuderti in un numero di pezzi, come non ho potuto più seguire le tue incursioni, sociali e musicali, post Medina (eviterei volontariamente di considerare tuo Come un gelato all'equatore).

Ma chi se ne frega: "Passa 'o tiempo / e nun te cride cchiù / e ti resta solo quello che non vuoi". Se solo sapessi, se solo sapessero quanto valore hanno avuto per me le immagini del tuo nasone, la tua pancia subito chiatta, quei capelli strafottenti, l'intonazione che si fa finta smorfia di sorriso, la sigaretta sul palco, ogni chitarra appiccicata alle dita e domata dalle tue mani: l'evidenza di essere nato per fare solo quello e fottersene di tutto il resto.



Resta solo Allerìa, Pino, per aver incrociato la tua strada nella mia.
E la malinconia, di non poter tornare indietro per rivivere tutto.

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