domenica 5 giugno 2011

Il giorno in cui il passato tornò ad essere passato


"C'è qualche cosa di sbagliato nell'amore, c'è che quando finisce porta un grande dolore.."
Lo cantano i Marlene Kuntz. Parole che mi sono tornate in testa oggi allorché, per la prima volta nella mia vita, ho sentito dei foggiani accostare il nome di Zdenek Zeman a concetti oscuri come "tradimento" e "irriconoscenza". Anzi, più che concetti oscuri, vere e proprie accuse, pesanti come quei dubbi che neanche l'evidenza dei fatti riesce a lavare via. Macigni pieni di rabbia e sconforto, un impasto su cui purtroppo si reggono molte coscienze foggiane.
Un allenatore che lascia una squadra di calcio è uno degli avvenimenti più naturali del mondo. E a nessuno verrebbe mai in testa di chiedere motivazioni, implorare ripensamenti, decifrare sospiri e espressioni facciali: roba da tifosi. Folli adepti di una religione che, come tutte le manifestazioni di culto, ha anch'essa i suoi profeti, i suoi totem e le sue divinità.
Ci sono quelli, pochi, che celebrano indiscutibilmente la "maglia", emblema di quella tradizione che si autopreserva da sé, per il solo fatto di esistere, indipendentemente da chiunque le renda onore o disonore.
Ci sono altri invece, meno integralisti e purtroppo un po' più numerosi, che legano l'appartenenza alla propria squadra del cuore all'esistenza di un progetto almeno in prospettiva vincente, spesso attendendo da un campo di calcio quelle soddisfazioni che la quotidianità stenta a regalare.
E ci sono poi tutti gli altri, il resto dei tifosi insomma: più o meno attaccati; più o meno costanti; più o meno partigiani; accomunati da un solo grande tratto, quello di restare emotivamente ed idealmente legati ad alcuni dei personaggi entrati a far parte nella storia della loro squadra. Ai limiti dell'idolatria.

Ecco, l'idolatria: Zdenek Zeman a Foggia non è, e non sarà mai, un personaggio "normale". Merito o colpa di chi ha vissuto l'epoca d'oro della macchina da gol che regalava spettacolo sui campi verdi di tutta Italia.
La memoria non è un delitto. L'esaltazione di una realtà provinciale a laboratorio filosofico e pratico di un nuovo modo di fare calcio, con addirittura l'invenzione di un nome, "Zemanlandia", che servisse a identificare la residenza di un non-luogo; le soddisfazioni nella massime serie di una squadra ciclicamente destinata alla terza serie; la sorpresa, per il calcio dello spreco forzato dell'epoca, di un club povero che arriva a mettere paura con le sue risorse limitate; tutto ciò non è fantasia, è stato vissuto sulla pelle da molti. E seppure la retorica abbia esasperato col tempo certi elementi della storia, attribuendogli un valore mitico ai limiti del ridicolo, sarebbe altrettanto ingenuo non riconoscere ciò che è stato il calcio a Foggia negli anni di Zeman. In una sola parola: gioia.

Dopo di lui, che torna anche come spartiacque storico, le gioie per i tifosi rossoneri son state sempre meno, e sempre di più sono stati invece i rischi di vederlo chiuso una volta per tutte questo baraccone chiamato Us Foggia. D'altro canto anche Zeman ha collezionato più infortuni che applausi, e di lui s'è finito per parlarne più fuori che dentro il campo. Ma in tutto questo susseguirsi di annate più o meno deludenti, con la sorpresa negativa sempre pronta a far la sua parte (Avellino, 17 giugno 2007), per questa città il nome di Zeman è sempre rimasto lì, intonso, chiuso nella teca come le reliquie di un santo, e pronto ad essere tirato brutalmente in ballo ogni qualvolta si palesasse l'opportunità di sperare in una rinascita sportiva.

Poi, il 14 luglio 2010, a Foggia succede ciò che si riteneva impensabile: di nuovo il patron (che per forza economica ora è piuttosto un "garzon") Pasquale Casillo; di nuovo Peppino Pavone; di nuovo Zdenek Zeman. Di nuovo "Zemanlandia"? No. Forse un abbaglio, buono solo per tirar su qualche copia dei giornali; sicuramente una stagione positiva, ma niente di ché.
D'altronde, rimarcherebbe qualcuno, come si può rifare qualcosa che non è mai esistito?! Sarebbe come voler rifare lo stesso sogno fatto anni addietro. Gli innamorati dell'allenatore boemo non capiscono: ma come si può non preferire Zeman a qualsiasi altro allenatore sulla faccia della terra? Questione di estetica, di spirito, di virtù dell'uomo prima che del tecnico. A Foggia effettivamente c'è poco di cui gioire, e un personaggio di questo valore è meglio non farselo sfuggire. I risultati sono un dettaglio; ed anche se tutti vorrebbero vincere, all'uomo di Praga si perdona tutto.

La speranza di un futuro migliore colma anche gli appetiti più insaziabili, e per il Foggia Zeman è speranza e insieme garanzia di un futuro migliore. Si chiude gli occhi e si inizia a sognare. Ma qualcosa non va come tutti si aspettano, com'era logico che fosse per ricreare "Zemanlandia2", e non si fa in tempo a riaprire gli occhi che tutto pare un incubo. Inutile rifare la cronaca: il mister lascia il Foggia e i foggiani.
Una piazza intera ci rimane di stucco. Non capisce. E' durato tutto troppo poco, dev'esserci un errore. La realtà a volte si sbaglia, rimandate indietro la giornata, non può essere. Invece è così: Zeman ha deciso, molto semplicemente. Perché semplice è la vita delle persone.
Ma se alle persone si sostituiscono i miti, le divinità, gli esseri sovrannaturali, capire diventa più complicato. Quasi impossibile. Come chiedere a dio: perché mi hai abbandonato? La fede è la risposta a tutto. Devi accettare il destino. E invece no! C'è sempre un punto in cui l'idolatria arriva a far pugni con la realtà: bisogna richiamare l'attenzione, fare di più, offrire il vitello più grosso, sicuri che prima o poi la storia riprenderà il suo corso regolare. Follia. Pura, sincera e rispettabile, ma pur sempre follia.

Poi arriva il colpo duro, quello dell'ufficialità completa, la più difficile delle prese di coscienza, stazione ultima di ogni ossessione. E lì, dove in alcuni è diffusa solo una cocente delusione, mentre in altri vi è addirittura una paradossale negazione dei valori di colui che fino al giorno prima era innalzato al rango di "Messia", si fa largo per i più idolatri una vera e propria epifania della morte. C'è da elaborare un lutto, qualcuno è venuto a mancare, la sensazione è che tutto attorno stia scomparendo, nulla ha più senso.

E invece è successo l'esatto opposto. Una rinascita, aldilà della serie in cui si giocherà.
Zdenek Zeman non aveva mai lasciato Foggia. Il 1994 è sempre parso qui dietro l'angolo, pronto a riprendere il suo cammino alla prima occasione buona. Il passato aveva smesso di essere ricordo per essere invece misura e forma di ogni possibile futuro. La gloria di un'era idilliaca aveva trasformato in agiografia i limiti e le peculiarità di un uomo. Pulito, intelligente, preparato, ma pur sempre soltanto un uomo.


Quell'uomo che oggi, dopo 17 anni, ha davvero abbandonato Foggia. E l'ha liberata da un'ossessione.
Grazie Zdenek.

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