sabato 30 aprile 2011

La storia puzzolente di Steve Cufreni


Steve Cufreni era un tipo incredibilmente sudicio. Era un bel ragazzo, con un fisico palestrato senza eccessi, ma con un maledetto problema organolettico: dopo sole due ore dall'ultima doccia prendeva subito a puzzare come poche cose puzzano nella vita: la merda dei cavalli, gorgonzola e cavoli andati a male nello stesso frigorifero, il sudore di cento partite di calcetto che resta impregnato in quelle scarpette che non hanno mai visto il cielo perché condannate a vivere la loro eternità nel fondo di un borsone.
Oltre alla puzza da fogna a cielo aperto e al continuo viscidume di cui era intrisa la sua pelle, Steve aveva un'altra grande caratteristica che lo identificava: era razzista. Nel senso più ampio che possiate dare al termine. A Steve non stavano sul cazzo solo quelli di colore, gli extracomunitari o gli stranieri in generale; lui odiava platealmente, e senza alcuna possibilità di mediazione, non solo chi non era come lui nel modo d'essere, ma anche chi si distingueva nei comportamenti. Naturalmente era innanzitutto omofobico, intollerante a qualsiasi forma di omosessualità; quindi odiava i mancini, i baffuti, i timidi, i settentrionali, i non amanti del calcio, i tifosi della Roma, chi indossa le calze di spugna, gli umili, gli astemi, i vegetariani, i non tatuati, quelli che saltano il militare e quelli che guardano la televisione. E mi fermo qui solo per amore della sintesi..

Un giorno di prima estate di quattro anni fa Steve era a una festa nella villa di un tizio che neanche conosceva. A trascinarlo lì era stato il suo amico Frank Ristone, che non è che fosse proprio il suo migliore amico, ma di certo era uno dei pochi che riusciva a sopportarlo. I due erano andati alla festa con l'auto di Steve, ma non appena entrarono nella villa non fecero in tempo a prendere da bere che subito si persero di vista. Funzionava sempre così quando gli amici trascinavano Steve tra compagnie a lui estranee: arrivavano si tutti insieme, ma poi si dividevano subito le strade. Potrete facilmente capire che la presenza di Steve significava un'altissima probabilità di figuracce, sia per la puzza che per il suo carattere, entrambi di merda. Per questo gli amici, nonostante gli fossero affezionati, finivano per abbandonarlo al suo destino, sapendo che in fondo c'era sempre qualcuno pronto ad avvicinarsi a quel bel ragazzo che era Steve, almeno fino a quando la puzza non iniziava a prendere il pieno sopravvento sui suoi pori cutanei.

Insomma anche quella sera Steve finì col ritrovarsi da solo.
Così prese a bere vino rosso, un vino rosso dal sapore orrendo, così orrendo che sarebbe servito un miracolo in stile nozze di Cana. Ma tant'è Steve ne bevve egualmente parecchi bicchieri e la sbronza iniziò a insediarsi nella sua testa come una macchia d'olio su uno scottex. E mentre beveva aveva preso pure a chiacchierare con della gente seduta vicino alla piscina, ma si trattava di poca roba, discorsi inutili gestiti dall'alcool. Trascorse così un paio d'ore Steve, fino a quell'istante, impercettibile come il calo di tensione che spegne per pochi millesimi di secondo la lampadina, in cui la sua attenzione scivolò brevemente fuori dall'esagerazione alcolica ed iniziò a percepire che di lì a poco gli umori della sua pelle sarebbero cambiati nel solito dannato modo che ormai conosceva, e che l'aveva reso così disgraziatamente noto tra i suoi compagni.
Steve non si capacitava di questa sua schifosa deriva. Nessuno riuscì mai a spiegargli da cosa potesse dipendere quel puzzo indicibile; e la rabbia, che per tanto tempo l'aveva accompagnato, col tempo lasciava sempre più il posto alla rassegnazione. Quella sera rassegnazione voleva dire alcool, e più i minuti passavano più Steve beveva. Perché più il tempo passava, più la puzza montava.

Arrivò a fine serata ubriaco fradicio, vagava, urlava parolacce, diceva altre cose senza senso. Cercava Frank per andare via da quella festa maledetta, ma non sapeva che non l'avrebbe mai trovato perché l'amico era andato via in macchina con una tipa che forse aveva una gran voglia di dargliela. Così tornò tra le poche facce che aveva conosciuto, sperando di poter offrire un passaggio a qualcuno in cambio di una compagnia per quel viaggio di ritorno che altrimenti avrebbe dovuto affrontare senza sapere la strada, e per di più sbronzo com'era.
Ma era incazzato Steve. Bestemmiava. Odiava tutti. Ognuno gli sembrava un po' troppo comunista, allegro, scuro di pelle, straniero, gentile o fighetto perché potesse scegliere di portarselo in macchina. Ma la vera realtà era che quella puzza infame lo faceva sentire lontano da tutti, deriso da tutti, schifato da tutti, anche da chi invece quell'odore nauseabondo tentava, a fatica, di non considerarlo. Perché in questo mondo tutti abbiamo dei cazzo di difetti, e non possiamo sempre sentirne il peso addosso; altrimenti ci sacrifichiamo a loro come a delle divinità, e smettiamo di vivere per essere invece continuamente concentrati su un solo lato della nostra natura.

Isolato, chiuso a riccio nel malessere che gli aveva infestato anima e vestiti, Steve sbraitò ancora un po', poi si infilò in auto e partì. La pioggia battente e la strada buia e dissestata non permettevano follie, ma Steve non era più in sé. Il piede premeva sull'acceleratore, il busto proteso verso il volante pareva quasi rappresentare l'idea di spingersi in avanti sempre più forte, di andare oltre, oltre i limiti che la natura maledetta gli aveva imposto.
Ma ad ogni azione corrisponde una reazione, e la reazione di quel momento fu che, dopo una curva presa un po' troppo veloce, Steve non riuscì a controllare più il volante, e lui e la vettura sbandarono e finirono col ritrovarsi giù nei campi, fermi come un trattore arrugginito abbandonato.
Steve uscì dall'auto fortunatamente illeso, e tentò subito di tornare sulla strada per farsi dare un passaggio in città. Una macchina si fermò, e ne scese un tizio che, sentite le urla di Steve, ancora visibilmente ubriaco anche se scosso dall'incidente, si affacciò dal bordo della strada e lo vide che provava maldestramente a risalire dai campi all'asfalto, tutto sporco e insudiciato. Steve senza guardare il tizio aveva preso a ululare frasi tipo: "..questo bastardo adesso sentirà l'odore infame che mi porto addosso e scapperà via facendo finta di nulla. Infame anche lui..", ma in tutto questo non si accorse che il tipo aveva già calato il suo braccio verso il basso per dargli la possibilità di risalire sulla strada.
Steve si sorprese così tanto che non riuscì a non esclamare verso il tizio: "Ma che non lo senti come puzzo!?", e quello stranito rispose: "E dopo un incidente e una caduta nei campi con questa pioggia vorresti essere pure pulito e profumato? Ma poi scusa che cazzo ti frega della puzza? Non vuoi risalire?". Steve non se lo fece ripetere due volte, prese la mano del tizio, rimise i piedi sulla strada e guadagnò dallo stesso benefattore pure un passaggio per tornare a casa.

Tutto si concluse come lui non si sarebbe mai aspettato. Un incidente stava per regalargli l'ultimo guaio della sua vita, e lo stesso incidente poco dopo riuscì per la prima volta a far passare quella puzza come un elemento senza valore. Come una cosa normale. Qualcosa per cui non si viene messi da parte. Isolati.
E fu per fortuna che a ripudiare Steve quella sera ci pensò almeno la morte.

(Il nonno di Steve, Albert Leonard Cufreni)

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