Capitolo I
- PERSONAGGI RIFLESSI -
Apollonio è un ragazzo riflessivo e sereno. Forse con un carattere troppo docile, ma mai rinunciatario. Certo è accondiscendente, ed è spesso lui ad adeguarsi ai voleri di Lepido. Però lo rispettano tutti, Lepido in primis, proprio per questa sua dignitosa timidezza, che riesce a esprimere con grandi dosi di comicità semplice e travolgente, ma mai banale e volgare.
Apollonio è un'abile maschera di sé stesso, e mette la sua simpatia davanti a tutto perché con questa può proteggere le sue emozioni e i suoi pensieri, che spesso prendono la via di una battuta stupida, lanciata in un discorso come la carta gettata da chi comincia il giro di una partita di “scopone scientifico”: all'inizio, sola soletta sul tavolo, quella carta non vale niente; ma il gioco ruota attorno a lei e a come si adegueranno gli altri alla sua presenza.
Risvolto purtroppo irrinunciabile di questo carattere è l'esser presi poco sul serio. Apollonio è così tanto naturale nella sua figura di spassoso affabulatore, che a nessuno viene mai in mente di guardare oltre la maschera che porta, per paura di scoprire lati spiacevoli che ne esaudirebbero l'immagine pura e serena, o per timore di trovarsi davanti a delle inaspettate qualità che sarebbero poi difficili da ignorare.
Lepido, che per Apollonio è Lepo, è invece tutt'altro. Ironico e sarcastico piuttosto che simpatico, fondamentalmente buono, è ragazzo di forte personalità.
Più intelligente di Apollonio, che lui chiama Apo, più attento e svelto a capire i diversi modi con cui poter raggiungere un determinato risultato, è ammirato dall’amico per questa pervicace ambizione nonostante si ritrovi spesso ad affrontare rotture traumatiche nelle faccende che lo riguardano, a causa soprattutto delle sue miserevoli scorte di pazienza. Soffre inoltre dell’odioso vizio di voler lasciare dappertutto il segno della sua presenza. Un bonario egoismo che sfocia però in eccessi di tensione nervosa quando il mondo non gira come lui vorrebbe, e che lo trascina spesso a cedere il passo all'istinto, quasi che tutte le questioni della vita si riducessero ad un cerotto da tirar via con più o meno decisione e freddezza per sentire meno dolore.
Purtroppo per lui, però, la vita non è un cerotto da strappare. Il dolore, si sa, non nasce da un episodio in sé, bensì dalla sua percezione emotiva, dalla presa di coscienza (o più spesso di incoscienza) di una crisi e poi di un vuoto apparentemente incolmabile. Tutta la tristezza è legata ad una mancanza. E quando manca qualcosa ci si sente smarriti. Il senso di smarrimento è micidiale: ti prende quando meno te l’aspetti e ti spinge lontano da quello che ti circonda; e solo tu, in mezzo a un mondo disgraziato pieno di luci false e suoni violenti, riesci a sentire questa distanza atroce tra ciò che vivi e ciò che vorresti vivere.
A quel punto tu, proprio come Lepido, hai bisogno del tuo Apollonio. E beato chi ce l’ha, aggiungo io, uno come Apollonio. Uno specchio ad effetto distorsivo, che riflette la nostra realtà in una nuova immagine, riportando alla luce piccole bellezze nascoste e distogliendoci per un momento dalla contemplazione del buio assiepatosi sulla nostra materia grigia.
E tutto sembra meno importante. Ma solo per un momento, purtroppo. Vedete, la distrazione è come un deodorante spray: ora più, ora meno, ha comunque un effetto limitato nel tempo. E non puoi continuare all’infinito a sommergere con alcool profumato i pensieri maleodoranti, perché poi la puzza torna ad avere il sopravvento, e una mattina fai una bella figura di merda pensando di essere uscito di casa decentemente profumato, mentre invece puzzi come un fiore marcio. Allora devi lavarti, e basta. Sperando che l’acqua non diventi di colpo gelida o bollente. Insomma l’avete capita la metafora, è inutile continuare. Cazzo però quanto mi piacciono le metafore..
..Ma torniamo ad Apollonio, a Lepido e allo smarrimento. Al senso di vuoto. A quel buco nel centro del petto che risucchia ogni energia dalla testa ai piedi. Al cervello che gira a vuoto, bloccato sui sensi di colpa, sulle paure, sui rimorsi, sui chissà se, sui vorrei, sui però, sui non so. Tutto fermo: dolori in corso.
Ecco l'impotenza: il vero male di questo ventennio. Magari le dedicherò un capitolo tutto suo. O forse no. Per ora basta una poesiola.
Occhi scavati dal senso di colpa,
labbra essiccate,
parole a metà.
Ti troverò dove il tempo non conta,
dietro i rimorsi,
o persino più in là.
Misero come una magra raccolta,
terra su cui
mai la pioggia cadrà.
Attendi un cenno, un sorriso, una svolta,
ma sembra morta
ormai questa città.
L'hai uccisa tu con i tuoi calci in bocca,
mentre chiedevi già "scusa",
e "pietà".
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