Preso per capelli, e sbattuto di testa contro il muro. Sanguinante, grondava piastrine, e attorno la gente fissava il tutto con la calma tipica di chi pensa che la vita sia uno stupido film, e che ci sarebbe stato di lì a poco lo scioglimento dell'intreccio con relativo lieto fine. Invece non si scioglieva niente, se non l'instabile capigliatura del sanguinante, con tutti i ricci attorcigliati tra le dita di quella mano violenta che lo stava uccidendo.
E la testa continuava a sbattere, il sangue continuava a schizzare, la gente continuava a fissare, ed io continuavo a non capire. Si, perché c'ero anch'io: ma dov'ero? Non ricordo. Ma, mentre scrivo, noto che le mano destra è sporca di un colore rossastro. Poi salgo con lo sguardo verso il braccio, scruto le maniche e la spalla, e mi accorgo che anche il resto della maglia è condito da chiazze rosse. E ora ste chiazze del cazzo da dove escono!?
Quell'uomo intanto stava per morire. La testa continuava a infrangersi contro i calcinacci di un muro fragile come una fetta biscottata, i capelli erano di un rosso in tinta unita, il malcapitato neppure si lamentava più. E anche io avevo smesso di parlare. Ancora non ricordo dove fossi, ma due erano le certezze a questo punto: ero in qualche luogo, muto e sporco di sangue.
Quindi cala l'impeto di violenza della mano, l'uomo barcolla, il sangue copre ogni tratto riconoscibile del viso, la testa ciondola passivamente, il corpo è in attesa di una folata di vento che l'aiuti a stendersi una volta per tutte su quel pezzo di mondo. Ed ecco il soffio tanto atteso: un leggero passo indietro, la schiena che va a terra per prima, poi la nuca, le gambe per ultime. Ma non appena il capo sbatté sul selciato, un istintivo ritorno dei sensi scosse l'uomo, che intravide, con quel poco di vista che gli era rimasta, la sua mano destra completamente decorata di sangue frammisto a ciocche di capelli. I suoi capelli. Il suo sangue. Sulla mano che aveva deciso di ammazzarlo. La sua mano.
E l'ultimo barlume di lucidità fu una veloce presa di coscienza, come il riconoscimento del corpo che si fa all'obitorio. Lui, il carnefice, riconosceva sé stesso nella vittima. Fu allora che capii dov'ero. Ero riverso a terra, la mano destra e la testa sanguinanti, in attesa di perdere i sensi. Mentre la mano sinistra scriveva le sue ultime parole: per sempre.
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