domenica 9 agosto 2015

Sensibili alle onde


Ogni giorno passato appresso al calcio è un giorno sprecato, o quasi.
Se ora mi sfrecciassero davanti agli occhi tutte le domeniche e i weekend e i turni infrasettimanali di tutte le partite giocate dal Foggia dacché mi legai alle sue più o meno fortunate sorti, ne finirei sfatto di nausea e stanchezza, allo strenuo delle mie forze mentali, come alla fine di un gioco durato troppo.
Per quanto il mondo del pallone in questi decenni si sia adoperato, con risultati eccellenti, ad invadere la nostra quotidianità, riproponendosi ora dopo ora col suo contenitore di preconfezionata originalità, pensare alla propria condizione di tifoso in una giornata "normale", una di quelle devote in esclusiva al barcamenarsi tra lavoro e affetti e questioni personali, rimane comunque un impegno da gestire con grande abilità.

Detto in parole chiare: nella situazione più difficile, all'apice del più grave intreccio di problemi, ci sono pur sempre ottime possibilità che un pezzo di cervello ormai fottuto resti legato alle vicende della vostra squadra. Anche marginalmente, superficialmente, a rate di pensieri impercettibili e di infinitesimale durata, ma tutti rivolti e originati da lì: "Foggia? Ho sentito Foggia?! Chi ha detto Foggia? Stasera gioca il Foggia? Domani gioca il Foggia? Prima o poi gioca il Foggia? Chi abbiamo comprato? Ascensori 'Matarangolo': madò si chiamano come quel cesso che giocava con Florimbj! Sei di San Benedetto del Tronto, ah sì ci sono stato in trasferta! Quanti anni hai, sette? Ricordo che avevo sette anni quando mio padre iniziò a portarmi con sé allo stadio..."

Una matassa di richiami condizionata da quella che è a tutti gli effetti l'occupazione stabile di una parte della nostra testa. E anche questa, come tutte le occupazioni, deve resistere a tentativi di sgombero. Gli assalti quotidiani, oltre che dall'incedere inarrestabile della cosiddetta maturità ("angor appriss au Fogg'?!"), arrivano soprattutto da ciò che intanto è cambiato attorno alla percezione di tale gioco infinito.
La commercializzazione del supporter, incrociata alla spoliazione dei suoi diritti più elementari (come quello al libero spostamento), ha toccato vette di ghettizzazione della partecipazione mai toccate prima. Ossia, adesso sono ben accetti innanzitutto spettatori. Il resto fa contorno. E alla lunga, come in ogni storia d'amore, anche il sentimento per una squadra e la sua storia può sfibrarsi fino a sfiorare il disinteresse.
Non è per forza un processo irreversibile, piuttosto un'onda che si allontana per poi tornare a bagnare la riva, spesso pure con moti più intensi e corposi.

Può capitare per anni, mesi, settimane; oppure solo per qualche istante di isolamento, di fastidio per la propria lesa dignità, di tifoso e di persona.
Quindi, in un momento, un solo pensiero basta a coprire ciò che i portatori di tristezza hanno provato a seminare. Da quando so per certo che si giocherà questa partita, lo ammetto, faccio un po' fatica a pensare ad altro.
Per quanto una sconfitta non sia la fine del mondo; per quanto a breve dovrò di nuovo cercare lavoro; per quanto sia solo Coppa Italia e dopo 17 anni di anonimato noi siamo tanto sfavoriti da non avere quasi nulla da perdere; per quanto faccia caldo, io stia morendo di sonno e il mondo che abbiamo costruito sia una mezza merda.

Insomma, stasera il Foggia gioca contro l'odiato Bari e no, questo non è un giorno come tutti gli altri.


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