mercoledì 9 ottobre 2013

La costruzione di un crollo




Non ti chiamerò stasera, non sciuperò il tuo nome.
Ripasserò ancora la lingua agli angoli della bocca per prendere tempo, e mi guarderò le ginocchia accavallate uno spasmo sopra l'altro, fingendo che sia il mondo a tremare e non io.
E se cadrà un bicchiere dalle mani, sarà stato un suicidio.
Non avrò modo di ascoltare il mio dolore, perché dovrò viverlo. Rimbalzerò con le lenti tra il soffitto e il battiscopa, aiutandomi con i vetri e gli stipiti delle porte, e socchiuderò le palpebre per credere in un sogno troppo brutto per non essere vero, di quelli che ti risvegli senza fiato, con un lembo di lenzuolo stretto tra le dita tirate, e l'imprecisione della notte che ti scherza con i suoi demoni nascosti sotto al letto.
Arriverà un momento in cui sarò costretto a mordermi un pugno, a cercare con i denti le nocche per sentirmi un po' della mia carne che è anche la tua.
Batterò pochi respiri ma profondi, riempiendo al massimo la cassa toracica per poi liberare lentamente l'aria dal naso, chiedendole di trascinare i suoi giorni da qualche altra parte.
Ruberò ancora minuti alla consapevolezza, e con essi tutti i secondi che potrò, con qualsiasi mezzo, con ogni ricordo, avvinghiandomi all'imprevedibile meschinità dei colpi bassi, che iniziano a fare male solo dopo che si è frantumato lo stato di immacolata incredulità.
Sarà in quell'attimo beato di distrazione fatale che mi schianterò nel tuo viso, e con la schiena dritta ed il collo fermo sul tronco scoppierò, ad occhi aperti, come un pallone rigonfio di pianto.
Ma non ti chiamerò stasera, terrò il tuo nome tra le labbra.
Per non sciuparlo.
Per gridarlo forte quando tornerai.


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