"Scusa, è stata una giornataccia. Ma l'intervista la facciamo lo stesso, dammi solo un momento."
Inizia così la chiacchierata con Saverio Abele, mio amico, nonché vicino di casa, nonché l'ottantenne meno rugoso che abbia mai conosciuto. Sa che questa intervista non andrà su alcun giornale, rivista o quotidiano che sia, e nemmeno su qualche sito d'informazione letto da più gente di quanta non ne abiti nel nostro condominio.
Saverio non chiede neanche il motivo di questa mia assurda richiesta, in fin dei conti gli ho solo proposto di rispondere a qualche domanda, sa che ne scriverò sul mio blog, ma per lui, giustamente, è come se prendessi appunti per un quaderno che leggerò soltanto io.
Il signor Abele ha 79 anni, vive a Roma da cinquanta, è originario di Barletta, ha sempre lavorato come portiere d'albergo, adesso è in pensione. Beato lui, che se la goda. Mi da' l'impressione di quello che ha faticato tanto nella vita. Certo, con le impressioni non si fa molta strada; ma siamo solo lui ed io, e tutti e due usiamo la stessa moneta.
"Tu non hai ancora ben chiaro cosa fare da grande", mi dice, allungando l'indice come se stesse controllando con quel dito la consistenza dell'aria tra di noi. Gli rispondo che è vero, ma che forse non si è sbilanciato poi così tanto. Vorrei domandargli del perché non porta la fede al dito, rinunciando stupidamente alla semplice idea che quella signora che abita con lui possa non essere la moglie.
Saverio sorride, ho fissato la sua mano troppo a lungo per non cadere nel tranello di una domanda spinta fuori a forza dalla curiosità, piuttosto che dal coraggio di svelare ciò che in altri potrebbe esser sepolto volutamente sotto strati di lento oblio.
"Vuoi chiedermi se sono sposato, chi è quella donna e, se non è mia moglie, perché non lo è?". Saverio se la ride, mi sento un banale fruitore di impressioni superficiali. Lui continua: "Me lo chiedono tutti, ma una domanda non è stupida solo perché sono in tanti a farla, lo è di più quando quelli che la fanno si sono già dati una risposta da soli."
Non so perché quest'uomo mi metta di buon umore. Sorride poco, quando non mi aspetterei di vedere i suoi denti non più bianchissimi, e i lineamenti facciali tra naso e mento aprirsi in una sorta di rombo. "Agata non è mia moglie, ma stiamo insieme da 44 anni. Non ho mai capito cosa avesse il matrimonio più dell'idea di avere voglia di svegliarmi ogni mattina accanto a lei. E poi quella frase odiosa, 'vi dichiaro marito e moglie': è davvero inaccettabile. Il nostro amore possiamo raccontarcelo solo io e Agata, è sempre stato così e sempre lo sarà. Lei la pensava come me già quarant'anni fa. Che dire: una donna da sposare.."
Stavolta sono io a ridere. E ho pure perso completamente il filo del discorso. Non che avessi chissà quali scalette preparate nella testa, ma sicuramente avrei voluto portare Saverio a parlare dei giovani di oggi (me compreso), di come li vede, della fiducia che gli trasmettono, della finta libertà di cui si fanno manifesto.
Invece non andremo oltre, per oggi. Il signor Abele infatti, che mi ha letto fin troppo bene, fa per alzarsi e mi porge una scatoletta nera di latta, con sopra una foto di Marilyn Monroe. Dentro ci sono delle mentine, ne prendo una.
"Ascoltati di meno, ragazzo, e riposa un po' di più, ché gli occhi non ti stanno in piedi da soli", mi dice, rimettendo le mentine di Marilyn in tasca: "è stata una giornataccia, l'ho capito. L'intervista la finiamo domani."
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