Ha fame di tutte le cose che non ha. Ha fame Andrea, e si lascia sfuggire un'espressione di desiderio ogni volta che fissa un vetro per scorgervi ciò che è dietro. O dentro, come se il mondo fosse un frigorifero.
In realtà Andrea è in un libro, un libro che tratta di precari, di giovani vite precarie, del senso di mancata appartenenza che ci portiamo addosso: niente più classi, nessun ceto, non un mondo di piccoli nodi da tenere stretti. Oggi, che tutto è condiviso, non condividiamo nulla. Se non la stessa camera da deportati, con le pareti tutte uguali e sui muri non un buco, una scritta, un graffio, un segno di riconoscimento. Nessun riferimento.
Gli ufficiali del Regno del Caos ci guardano da fuori, controllano che tutto sia a posto, il gas del disorientamento sta per essere aperto. Ci lasciamo cadere come cade chi si è perso: scivoliamo increduli, più docilmente sconfitti che tristemente disperati. Vittime attive di uno sterminio: il genocidio di una generazione.
C'è anche Andrea, certo, non lo dimentico.
La mia penna si posa sul suo sguardo, che si posa su di un foglio appeso al muro: "Laureato impartisce lezioni". Ecco, vorrebbe essere lì, tra quella vita attiva del darsi da fare, tra chi non s'arrende. E invece è già tutto scritto: passerà avanti pure questa volta, si darà per vinto, sentirà ciò che ha pensato una sola volta come qualcosa di già vecchio, di scaduto.
Maledetta la malattia di Andrea. Sentire le proprie esigenze, e non far nulla per soddisfarle; per soddisfare tutte quelle ipocondrie dell'anima che ti fanno fasciare la testa ancora prima d'essertela rotta. Ma la testa Andrea l'ha già rotta: si è lacerata il giorno in cui ha capito di essere nato giovane nel momento storico sbagliato.
Ma ve lo ricordate cosa vuol dire esser malati di gioventù? Quando i nervi si tendono al loro estremo per la voglia di fare; quando i sensi percepiscono tutto il finito, anche il più onesto e puro, come una limitazione; quando vorresti camminare in mille direzioni diverse, pur sapendo che il tuo destino sarà sempre quello di tornare indietro; quando il sangue bolle nel cervello come in una pentola a pressione.
Quando vivi di moto, insomma, non puoi restare ancorato alla corda del timore del vuoto. Non ogni giorno. Non per sempre. E' come cibarsi di novità, ed essere perennemente attaccati dalla muffa.
Le pagine con Andrea sono pagine stanche, già raccontate, prive di guizzi. Chi le orchestra è un maestro di "vorrei, ma non posso". Eppure, a nessun essere con un cuore collegato al cervello verrebbe mai in mente di giudicarle male, anche soltanto per la verità che si portano dentro.
Verità arrendevole, senza sogni di gloria, piena di umili aspirazioni. C'è spazio ancora per una letteratura così? C'è spazio ancora per una vita così? Andrea ha fame, e vorrebbe solo che avere fame fosse ancora credibile.
Andrea è un racconto, o un romanzo, o forse il mio immaginario che si riempie di brividi confusi. Andrea non è certo un libro. Ma se lo fosse s'intitolerebbe:
"ANDREA. LO STERMINIO DI UNA PANCIA E DEI SUOI BISOGNI."
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