Oggi ero a Roma, a via Cavour, mentre una fiumana di gente si distendeva da un capo all'altro di quella immensa via per vivere una giornata all'insegna dello sfogo. Vedevo un unico orizzonte di teste, e mi autoconvincevo che ve ne fossero abbastanza affinché la legge dei grandi numeri potesse darmi la certezza che quelli con un cervello funzionante superassero di gran lunga i dementi lobotomizzati.
La quantità non è mai una qualità, è chiaro. La massa spesso ha accompagnato e sostenuto l'ascesa di stupidità e distruzione (i regimi dittatoriali, le guerre, il colonialismo, le sante inquisizioni, le pubbliche segregazioni, la caccia alle streghe, gli hippie, il Festival di Sanremo, la moda anni '80, Canale 5, Antonella Clerici..), ma se tanta gente in un assolato e freddo sabato d'ottobre, invece di pranzare e godersi "Top of the pops" (lo fanno ancora, si?), scende in strada per sbraitare il proprio legittimo disappunto contro il sistema, allora mi dico: forse una sottile linea di tensione positiva esiste ancora nella società. A prescindere dai motivi della protesta, è sempre piacevole sapere che a più di qualcuno non sta bene sguazzare nella merda e sentirsi dire che dobbiamo pure ringraziare, perché c'è la crisi, e la merda forse in futuro non basterà neanche per tutti.
Ero a Roma, in via Cavour, mentre pensavo tutto questo (non è vero, in realtà lo sto pensando solo adesso, ma voi non lo saprete mai..), e ad un tratto alzo la testa e vedo delle figure antropomorfe che salgono sulla tettoia dell'ingresso di un hotel e tentano di dar fuoco alla bandiera dell'Unione Europea. Volando come farfalle e pungendo come api, proprio come Cassius Clay, che però si distingueva solo per un ulteriore piccolo tratto: aveva uno scopo. Aveva un obiettivo; un traguardo; l'idea di andare un po' oltre se stesso.
Io in quelle quatto scimmie esultanti per l'insolente gesto (e chi mi conosce sa la scarsa considerazione che nutro verso l'Unione Europea, e le litigate col mio caro amico d'infanzia Helmut Kohl per questo motivo..) ho visto tutto, tranne che uno scopo. Ho visto energia, sfacciataggine, rabbia, desiderio di eversione, voglia di distruggere. Ho visto filamenti di sole che attraversavano il fumo nero che saliva dalla bandiera bruciata, quel solito miscuglio denso di luci ed ombre, chiarori e oscurità che dipingono il caos meglio di qualsiasi altra immagine. Ho visto la fame di notorietà (ma sempre con la sciarpa sul volto e il cappuccio calato sulle sopracciglia, perché anche la rivolta ha le sue manie di protagonismo).
Ho visto tutto nelle loro azioni, ripeto, tutto tranne che uno scopo.
Non sto qui a regolare la tratta dei comportamenti da tenere in una protesta, non sto qui a dire per cosa è giusto urlare, spingere e dannarsi l'anima (no, il termine "indignarsi" da me non lo leggerete mai!), non sto qui a scrivere che fa più effetto un'auto bruciata per strada piuttosto che uno sciopero della fame davanti Montecitorio, e non sto qui perché credo che adesso andrò a dormire. Per mettere fine a questa giornata. E forse anche per dimenticare il triste senso di vuoto che mi ha accompagnato oggi pomeriggio tra le strade del centro di Roma.
Ho gravitato tra nuvole artificiali, pezzi di mondo, puzza di adrenalina mista a paura, leggi divelte e una planimetria urbana da imparare a memoria. Ho associato le vie a livelli di tensione. Ho misurato negli occhi di una signora lo sconforto di chi ha visto per l'ennesima volta le solite scene di delirio, e ancora non riesce a comprenderne le ragioni.
Ho cercato ragioni, scuse e giustificazioni. Ho maltratto il mio inutile fisico per capire cosa volesse dire esserci. Ho pensato che in fondo nella vita non si possa prescindere dall'attaccare e dal difendersi. Come Muhammad Ali: "vola come una farfalla, pungi come un'ape".
La differenza però non la fa la forza, ma lo scopo. Quello di Alì era vincere. Quello dei teppisti romani di oggi proprio non l'ho capito.
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